di Isabella di Soragna
In Filosoficamente
“Noi abbiamo sognato il mondo. Lo abbiamo sognato resistente, misterioso, visibile, ubiquo nello spazio, fermo nel tempo. Ma abbiamo ammesso nella sua architettura tenui ed eterni interstizi di assurdità per sapere che è finto” (J.L. Borges, Finzioni)
Che cosa sono questi interstizi di assurdità? Ve ne sono infiniti, ma cominciamo da un comune individuo, quando viene risvegliato in un momento di sonno profondo. Al primo istante può solo percepire un vago senso di essere presente, ma senza sapere né chi è, né dove si trova. Tutto è nebuloso e oscuro. Poi, più o meno lentamente, il programma-video del suo sistema si mette a fuoco e appaiono ricordi, luogo e identità. Prima di questo la memoria non essendo in funzione, vi è un black out totale, come nel sonno profondo, ma senza avvertire alcun smarrimento. Il premio nobel Georg von Bekesy dimostrò sperimentalmente che, facendo vibrare per qualche tempo un apparecchio sulle ginocchia di un individuo e poi in mezzo alle sue gambe, la persona era sicura di sentire la vibrazione anche nel punto in cui non vi era “materia viva”, ossia nello spazio intermedio fra le ginocchia. Lo stesso dicasi per il noto fenomeno dell’arto mancante, in cui si prova dolore o formicolii in una gamba o in un braccio che sono stati amputati molto tempo prima. A proposito, un’altra vicenda venne documentata e filmata per una serie di trasmissioni sui fenomeni di guarigione incomprensibili. Un bambino aveva la passione delle salamandre che allevava con cura (sono animaletti che riproducono naturalmente gli arti persi o mozzati). Un giorno purtroppo dovettero amputargli una gamba all’altezza del ginocchio. Con gran stupore dei genitori in un anno la gamba ricrebbe poco alla volta, mentre per il bambino era ovvio che – come le salamandre – anche gli umani avevano questa facoltà. Era questa la sua realtà. Ne aveva la certezza assoluta e in tal modo essa poté verificarsi!!
Uri Geller, famoso per saper piegare un metallo col pensiero, lo spiegava allo stesso modo: lui credeva fermamente di poterlo attuare. Allo stesso modo fu trovato un uomo morto congelato in un vagone frigorifero spento!
Questo significa dunque che è il pensiero, il concetto di avere un corpo di un certo tipo ed il ricordo di esso, insieme al fatto di crederlo profondamente, a determinare il mondo che ci appare. La realtà quotidiana, quanto gli universi paralleli degli stati alterati di coscienza, non sono dunque oggettivi, sono tutti inventati – o al contrario se si vuole – ugualmente reali. Si parla sempre di più in termini scientifici, di ologramma, di modello olografico della coscienza e del mondo, secondo le scoperte di Pribram e di Bohm. (Per maggiori spiegazioni rimando alla lettura di questi autori e di Tutto è uno di Michael Talbot)
Non serve però “saperlo”, ammettere che le cose stanno così, continuando a vivere come prima, serve attuarlo nel quotidiano, ossia vederlo operante nell’osservazione del nostro vissuto.
“Abbiamo ammesso nella sua architettura tenui ed eterni interstizi di assurdità per sapere che è finto.” Siamo abituati a vedere il mondo così solido là fuori, anche se lo vediamo distrutto, se la gente sparisce, si ammala o muore e così osserviamo di giorno in giorno la nostra persona con attributi e difetti, come se fosse un’entità stabile con una continuità nello spazio-tempo. Ma è davvero così? Siamo d’accordo con mistici e scienziati che affermano il contrario, ma collochiamo le loro scoperte nella biblioteca delle informazioni, non ci viene in mente di viverlo nella nostra pelle, nel nostro quotidiano, di mettere in dubbio quanto ci hanno insegnato con pazienza i nostri genitori ed insegnanti. Oppure questi interstizi di assurdità ci sfiorano a volte per un attimo e poi ritorniamo alle nostre abitudini senza rifletterci più. Continuiamo a confermare questo personaggio fittizio in un mondo fittizio con mille impegni, pensieri, aspettative, che invece di smantellare la finzione, la rinsaldano più che mai.
“Penso, dunque esisto, IO! Ma se non penso, cosa succede?” Sarà possibile, se il pensiero è veramente assente, di trovare la conferma della mia vera origine che metterà in sordina il mio personaggio, maschera vuota e labile, ma presuntuosa? Meglio non provare, è troppo pericoloso! In realtà questo personaggio incombente è solo uno spettacolo che si svolge senza il nostro consenso: le notevoli scoperte delle scienze neuro-cognitive lo confermano senza dubbi. L’io, questo inafferrabile direttore del programma, è un fantasma, e così il nome che ci hanno attribuito, utile per comunicare, ma fittizio.
Che validità può avere un cosiddetto individuo, se basta un elettrodo applicato alla sua testa per farlo ridere o piangere? Interrogato dal medico, egli dichiara convinto di aver ascoltato una barzelletta o di aver avuto una brutta notizia. I ricordi se li è inventati “in seguito”, le emozioni pure. Anche il senso dell’io viene in coda al treno. Messo poi davanti ad un computer che trasmette un video, in cui all’improvviso avviene un fatto terrificante, la cavia umana esprime l’emozione prima ancora di assistere alla scena: premonizione? Semplicemente il cervello anticipa sempre di qualche secondo quello che farà affermare poi la persona: “Io – ho provato uno spavento!”
Quante volte mi sono resa conto che era lo stato in cui mi trovavo che “produceva” la situazione apparentemente esterna qualche momento dopo. Uno stato di tensione appena individuato, era la premessa ad un evento fastidioso che eccitava collera o tristezza, ansietà o paura. Se invece era l’allegria che saliva alla coscienza, ecco presentarsi un fatto gioioso. Nessuna causa nessun effetto, solo un continuo eco del gioco degli elementi, dove il direttore era solo la Vita.
Avevo constatato pure che i cosiddetti veggenti non “prevedevano”, ma solo vedevano quanto era già avvenuto. Il futuro era già presente.
Che dire poi di quello che chiamano “sincronicità”, considerata un fatto singolare, quando in realtà tutto avviene simultaneamente, mentre è il cervello che interpreta nello spazio-tempo e decide che un fatto avviene prima ed uno in seguito. Inoltre il sistema nervoso crea nella cosiddetta vita quotidiana, un rallentamento che permette di svolgere un’azione che dà l’impressione di una sequenza, della nascita, dello sviluppo e della morte. Fa parte dell’ologramma coscienza-mondo, in cui tutto è contenuto e già avvenuto, mentre il nostro sistema (che lo crea!) lo può “osservare” solo nello svolgersi della durata e della ciclicità.
Per andare nel vivo di questa scoperta, basta applicare il principio dell’ologramma nella nostra vita e nell’arco degli anni trascorsi, per constatarne la validità. Possiamo avvalerci del tema astrologico, o numerologico o di qualunque altro metodo che possa essere tradotto col sistema olografico o quantico: nel gioco degli elementi dell’attimo della nascita, o della concezione (ma è più difficile controllarla!) vi è già tutta la storia. Il programma avviato non comprenderà solo le caratteristiche del neo-nato, ma anche quelle dei genitori, degli avi e del mondo circostante, come un’istantanea che si stira, come un elastico virtuale, in tutto il percorso; qualunque avvenimento, qualunque attività, qualunque tendenza si manifesta nel cosiddetto “mondo esterno”, in una continua risonanza sincrona, anche se apparirà come effettivi incontri, movimenti, esperienze di ogni genere in periodi apparentemente lontani. Sarà la percezione particolare di quell’individuo (in apparenza tale) a creare-partecipare alla commedia o dramma. All’esterno non è mai successo niente. Solo i neuroni di un certo tipo si sono divertiti a creare l’illusione di viaggi, di matrimoni, d’incidenti, di successi e fallimenti, di catastrofi o di vacanze indimenticabili. Si potrebbe anche affermare che siamo noi a creare i nostri genitori, o meglio generiamo la nostra immagine o proiezione e poi interagiamo con o contro di essa, ma è solo un aspetto di noi stessi. Il padre e la madre, come sono veramente, non lo sapremo mai. L’immagine che hanno di loro un fratello o un cugino non sarà certo la stessa. La rete intricata di neuroni possiamo paragonarla alla rete della maya o la “misura”, la madre o creatrice del mondo delle dimensioni, che ci trattiene invischiati nell’immensa ragnatela dello spazio-tempo. Noi la nominiamo pomposamente la nostra “storia personale”. Don Juan Matus, il maestro yaqui di Castaneda, consiglia di dimenticarla. Non serve tuttavia volerne perdere il ricordo: si dissolve semplicemente da sé con l’investigazione assidua. Se i figli, i vicini, le relazioni affettive, gli incidenti esistono solo in questo unico attimo di scariche neuronali, in cui la durata e i luoghi non hanno più senso, allora dove sono finiti i violentatori, i saggi, i benefattori ed i mafiosi? Ombre evanescenti cucite col filo della memoria sullo schermo vuoto. E ancora Castaneda attraverso don Juan: “Gli esseri coscienti sono minuscole bolle fatte con questi filamenti; microscopici punti di luce uniti alle emanazioni infinite.”
E’ stato verificato varie volte che un trauma, o semplicemente la percezione particolarmente forte di un avvenimento durante l’infanzia, si manifesta in mille modi e compensazioni durante l’età adulta. Siamo portati a credere che sono avvenimenti diversi, in realtà non è così. Lo stesso fatto si ripeterà senza sosta, in infinite modalità, finché la sorgente non sarà totalmente accolta. Quante volte una persona derubata di un bene che considerava “prezioso” da una persona amata, ha rivissuto soltanto il sentimento di aver perso amore e sicurezza, il bene più prezioso infatti, con la nascita di una sorellina? Continua a filmarlo nel presente, per poterlo integrare nel sistema finché svanisce: quelli che lo hanno constatato ed accettato se ne sono liberati. Se osserviamo attentamente quello che ci capita, con occhi nuovi, vedremo che se qualcuno ci fa un torto, ci fa paura o arrabbiare è la nostra reazione che conta, la nostra risonanza all’azione, la quale è sempre la stessa in vesti diverse da quando siamo nati. Più siamo inconsapevoli e più ci toccherà subirla per poterla “sanare”. Non potremo mai più prendercela a lungo con qualcuno, perché vedremo che la situazione che incontriamo ce la siamo creata noi per poterla “vedere” allo specchio. I cinque elementi sono sempre gli stessi e contengono ognuno le emozioni tipiche di collera, tristezza, gioia, paura e ansietà, secondo antiche tradizioni sempre valide. Per poterle sperimentare abbiamo solo bisogno di un grilletto per far scattare la molla, e il grilletto può essere qualunque cosa ci tocchi in quel momento. Fa parte del copione. Eppure la nostra vera natura non è nel copione, anche se finora l’abbiamo creduto per non aver indagato a sufficienza. Basta chiederci:
“A “chi” succede questo?” A un’idea? E’ mai possibile che è solo una nozione a scatenare tante reazioni? Un’“idea” di separazione. Sono dunque soltanto questo? Come può un concetto creare tanto scompiglio? Non posso essere solo una raffica di lampi neuronali! Tanta limitatezza ci rende paurosi per forza. Quattromila anni fa (come fosse ora) i cinesi consideravano già il pensiero espressione dell’elemento terra e collegato alla matrice universale, quindi alla madre che ci mette al mondo. Nel secolo scorso James Jeans, fisico di risonanza mondiale affermava:
“L’universo comincia a presentarsi più come un gran pensiero che una grande macchina.” Il pensiero si ciba di durata e di distanza. Non serve parlare né di tempo, né di causalità. Il fatto che si affermi che l’impressione, lo shock importante accada nella prima infanzia, anche se è soppresso per troppa violenza, non significa che è quella l’origine, può anche essere solo un avvenimento avvenuto durante la gestazione o il particolare incontro degli elementi in quel preciso attimo dell’osservazione che ha fissato il programma. Dopo tutto si sa che è solo l’osservazione che crea il mondo formale, se no resta un fantasma – come dichiarano Bohr e la fisica quantica. Poi la commedia si snoda secondo un copione ripetitivo, può durare un’ora o un secolo, non importa, il tempo non ha valore né sostanza: è un’invenzione del sistema neuronale. E che cos’è il sistema neuronale? Luce? Vacuità? Non è essenziale, perché non sono i concetti ad aiutarci, ma a perderci. Un altro fisico, Gary Zukav, afferma ancora: “Il concetto di vuoto, che provoca un’immagine di sterile desolazione, è una costruzione mentale. Nel mondo reale non esiste qualcosa come lo spazio vuoto. Vuoto e pieno sono distinzioni che abbiamo creato noi, come “qualcosa” e “niente”. Sono astrazioni dell’esperienza che noi scambiamo per l’esperienza stessa e crediamo che siano il mondo reale.”
L’attimo, il punto infimo di riferimento, in cui “sappiamo di esistere” come un pennello dalla punta finissima ha creato l’ologramma, lo spettacolo unico dalle mille variazioni, apparso all’improvviso sul tema del¡¬ “non so che cosa sono”. Un’altra dimostrazione dell’inesistenza dello spazio-tempo: si è verificato che un grosso trauma si può ripercuotere a distanza di anni nelle modalità simili a quelle dell’incidente stesso, che chi è stato violentato, ad esempio, subirà sia violenza in un modo o nell’altro, sia la esplicherà lui stesso in altro modo, ( dal momento che è lui lo spettatore-attore di questo) ma con la stessa percezione di base, in un alternarsi continuo, oppure proietterà su una nazione o su un partito il suo problema. Sono le stesse memorie a ripetersi. Ma è proprio un “ripetersi”, o una specie di duplicato o di riflesso dell’attimo in cui tutto avviene? In un solo attimo com’è possibile l’esperienza? Gli oggetti non possono esistere in mancanza di spazio e di durata. E lo spazio-tempo non esistono secondo la fisica quantica! Quante volte avremo notato che un evento storico si ripete con modalità simili e ad una distanza precisa di date, un anno o vari anni dopo? Tuttavia i miliardi di anni, il big bang, le galassie estinte milioni di anni prima¬ ne possiamo solo parlare “ora”! Esiste solo un unico attimo in cui tutto avviene, come se i secoli e le distanze si accartocciassero: la mente non riesce a sperimentarla perché non può realizzare “l’assenza di tempo”: in realtà non vi è nemmeno il presente. Questo mondo creato dai nostri sensi e interpretazioni, lo spazio in cui ci sembra di camminare è “noi stessi”, ognuno di noi e nessuno. Esso nasce da una vibrazione che diventa pensiero, concetto, fissandolo in falsi limiti e dando una continuità illusoria e una varietà a ciò che non ne ha in sostanza. Questo filo spinato crea l’io a cui ci si aggrappa, senza accorgersi che in realtà non è un oggetto, perché non vi è “altro”: quindi ci fa sprofondare nell’abisso popolato dai nostri propri fantasmi. Di qui il senso di separazione, la paura della morte, il bisogno di sicurezza, di potere, di sesso: tutti stratagemmi della mente che tenta di riunire in astrazioni ciò che lo è già da sempre, senza la necessità di oggettivarlo. Il bisogno di procreare è lo stesso che ci spinge a proiettare in una nostra creatura quello che temiamo di perdere o quello che ci sembra non possedere: è il fenomeno dei “tulpa tibetani” e dei “golem ebraici” in forma più densa. Tuttavia incontriamo solo le nostre emozioni più intense e nascoste e giochiamo col nostro specchio. Tutto va bene, ma non illudiamoci. Se si osserva il tema astrale dei nostri figli, essi sono intimamente collegati al tipo di situazione in cui i genitori li hanno concepiti, soprattutto se inconsapevole. Non c’è neanche da stupirsi: é un costante “surplace”. Le scuole tantriche poi che promettono la riunione con l’Assoluto attraverso relazioni sessuali e che affermano che nei loro metodi la mente è assente, ci prendono in giro: com’è possibile sperimentare senza intelletto, senza emozione alcuna, a meno di essere sotto narcosi o in coma? Per sperimentare è necessaria la mente ed è quella che ci illude. Che cosa c’è da “riunire” che in realtà non è mai stato separato? Il tantrismo autentico si occupa di vivere ogni atto quotidiano come essenza assoluta, che sia lavare i piatti o un’emozione dolorosa e in tal modo il pensiero perde potere. Per fare sesso non dovrebbe essere troppo penoso e l’estasi promessa non basta certo per uscire dal sogno. Inoltre non c’è bisogno di permessi speciali di libertà sessuale da parte di un guru, che tra l’altro si serve sottilmente di questi metodi per il proprio potere, proprio come le chiese ammettono la relazione carnale solo sotto il controllo di un capo religioso. Entrambi sono ancora trucchi di “autorità” che mantengono la divisione e l’isolamento e fanno presa su individui che non hanno risolto i blocchi emotivi, il problema della sicurezza affettiva, la relazione con i genitori, anch’essi solo proiezioni inconsce. Se una relazione è basata su un profondo legame a tutti i livelli, il tantra del sesso diventa inutile. Lo stesso dicasi per il mondo cosiddetto civile che si diletta di pornografia, abusi, violenze perché non rispetta i ritmi e i rituali di “passaggio” delle antiche civiltà o di quelle a torto considerate “selvagge” e si identifica solo a false immagini di successo e prestanza fisica, globalizzando e standardizzando anche l’apparenza. Parlo del mondo che proiettiamo e a cui crediamo. Anche queste situazioni sono perfette come si presentano: nel mondo del sogno tutto si equilibra costantemente, dal momento che non c’è divisione in sostanza. Queste constatazioni ci porteranno dunque a vivere una vita assolutamente “normale”, abbandonando la ricerca di quello che mai si troverà, che è inconoscibile, dato che lo siamo.
“Prima dell’illuminazione porto acqua, dopo l’illuminazione porto acqua.” La vita ridiventa ordinaria e ¬immensa allo stesso tempo. Possiamo solo scartare, retrocedere fino a chiederci:
“Cos’eravamo una settimana o mille anni prima di essere concepiti?” Così si esprimeva Nisargadatta Maharaj, il tabaccaio di Bombay. La risposta del richiedente era naturale: “Nulla.£ “Ecco, è quello che sei!” ribatteva Maharaj. Nemmeno “nulla” si potrebbe affermare, essendo questo ancora un concetto e quindi quello che siamo mille anni prima, una settimana fa o adesso rappresenta lo stesso 0 assoluto ed inconoscibile, come affermano anche i fisici e i matematici che studiano da un punto di vista scientifico la faccenda. Quello che sei “prima” del concepimento è lo stesso adesso e in seguito. Questa riflessione azzera la causalità lo spazio-tempo, i miliardi di anni e le galassie. Tutto l’universo con le sue mirabolanti allucinazioni è solo qui, adesso e sempre. Non basta recitarlo come i patiti new age, ma investigare e viverlo.
La totale libertà poi, non è “fare quello che voglio” – poiché questa è la più grande schiavitù dovuta ai condizionamenti del nostro sistema – ma la libertà dai concetti, dalle interpretazioni. Le immagini mentali, comprese quelle di noi stessi, appariranno ancora, ma non saranno più prese per reali, poiché provengono già da un’illusione iniziale, l’“io sono”, a cui si incolla “io sono buono, sono cattivo” con tutte le infinite varianti e la conseguente identificazione a tutto un corollario di finzioni. Si passa la giornata ad immaginare il proprio corpo o entità che si trova in determinate condizioni e poi si agisce per ottenerle. Non è forse la più grande presa in giro? Creare un punto di riferimento inesistente e poi moltiplicarne le interpretazioni fantasiose: è solo un ammassare milioni di pixel (picture element nelle foto digitali), puntini invisibili ad occhio nudo, eppure capaci nell’insieme di catturare la nostra attenzione, senza fine. A chi appare reale la manifestazione? Ad un pensiero? Siamo tutti sotto ipnosi. Non serve farsi ipnotizzare per uscire dai problemi: basta uscire dalla trance iniziale. I pensieri potranno essere presenti o meno, ma non saranno più i padroni perché avremo tolto loro l’energia e la convinzione. Sarà come vedere l’acqua nel miraggio di un deserto: certamente ci apparirà come acqua, ma sapremo che non lo è.
Il quotidiano vivere ci opprime poi a tal punto che tentiamo sempre di fuggirlo come da una prigione, che sia dorata o squallida, con continue evasioni, ricerche di soddisfazioni effimere, spirituali, estatiche, per trovare finalmente appagamento, cioè silenzio e pace, purtroppo senza risultati durevoli. Non è tuttavia all’esterno che lo troveremo, poiché “l’esterno” non è mai esistito in realtà. E nemmeno l’interno. Solo in apparenza. LSD, peyote, ayuasca e simili ci trasportano in mondi paralleli che dimostrano che basta un po’ di sostanza chimica a generare un’infinità di universi, creazioni altrettanto “reali” quanto quello cosiddetto “normale” e quotidiano. La droga serve all’inizio per dimostrarci che “abbiamo ammesso nella sua architettura tenui ed eterni interstizi di assurdità per sapere che è finto” ma poi ci chiude in un’altra prigione ben peggiore. Lo stesso dicasi per le divinità che appaiono ai fedeli di questa o quella religione: il sistema nervoso produce anche questo. Un indù vedrà Kali o Parvati e non la Madonna o S. Michele. Accettiamo dunque l’illusione come si presenta, che sia di cartapesta fiorita o di piombo, ma realizziamo che è solo uno dei tanti sogni, come ben descrivono i cosiddetti selvaggi, aborigeni o i mistici di qualunque epoca e continente e la vita sarà tanto più semplice. Non serve rifiutarla, affermando intellettualmente che è una visione onirica dunque, ma “vedere”, cioè investigare costantemente che è effettivamente una finzione. Non diventeremo cadaveri ambulanti (gli aborigeni australiani tuttavia ci vedono così!) ma non saremo schiavi delle nostre elucubrazioni mentali e non ci identificheremo a lungo con gli oggetti da esse creati. La mente almeno non ci menerà più per il naso e starà al suo posto di servitore invece di farla da padrone.
T.D. Suzuki buddista zen dice: “La verità è tutto ciò che implica la totalità dell’esistenza umana, non è oggetto di intellezione, bensì del volere nel senso originario della parola. L’intelletto può sollevare ogni sorta di quesiti, ma la risposta giace profondamente sepolta sotto il letto di rocce del nostro essere.” E ancora Castaneda attraverso don Juan: “Gli esseri coscienti sono minuscole bolle fatte con questi filamenti; microscopici punti di luce uniti alle emanazioni infinite”.