di Isabella di Soragna
La sensazione d’essere coscienti, vivi, di esistere come individui, è qualcosa che ci stanca, anzi non la sopportiamo a lungo, pur considerandola la cosa piu’ preziosa: la paura della morte ne è la costante conferma.
La prova di quest’esasperazione e di questo bisogno di dimenticare il senso di essere o autocoscienza, sta nella ricerca costante di distrazioni. Tutto il giorno lo passiamo a cercare le attività piu’ disparate e non necessarie alla sopravvivenza, con le scuse piu’ varie. Ci creiamo infiniti bisogni e moltiplichiamo le circostanze per attuarle, pur lamentandoci della mancanza di tempo che ci affligge. Poi come non bastasse, ci lasciamo passivamente sedurre dalla televisione, andiamo a vedere un film, c’immergiamo nella lettura di romanzi, oppure troviamo l’oblio nella meditazione. Ci abbandoniamo poi al sonno con immensa gioia, e li’ dimentichiamo veramente tutto.
Chi è piu’ disperato ancora, ricorre alle droghe: ma in fondo non è una droga costante il modo in cui viviamo, per cercare l’oblio di sé?
Che cosa vogliamo dimenticare in sostanza? Un’entità o una condizione che sembra chiuderci in una morsa, in una prigione?
Ci siamo mai dati la pena di cercarla quest’entità, di esaminare questo senso d’essere vivi e di scoprirne la frode tentacolare?
L’io-sono esiste veramente? Non è forse un’idea generale per designare momentaneamente un sentimento o meglio una serie di sensazioni che danno un’impressione d’unità? Questo stato esiste solo se lo definiamo; non è continuo e non esiste realmente se è osservato con determinazione e perseveranza.
Per sentire di esserci, devo saperlo: se non lo penso, non lo definisco… potrei anche non esserci?
Siamo dunque solo un concetto, siamo soltanto una finzione?
Questo pensiero poi lo cementiamo con un nome che ci hanno imposto, Antonio, Maria o Carmela.
Osservando sovente in questo modo riusciamo a scalfire, a scalpellare questa ‘fiction’ e a ridurla in cenere.
Il mondo ce lo hanno insegnato e inculcato a martellate di nomi e definizioni dalla piu’ tenera età. Ci hanno incastrato con le convenzioni.
Questo non significa affatto che dobbiamo sovvertire l’ordine, cambiare vita, cessare ogni attività o chiamare una tazza, pappagallo. Significa non lasciarsi ingannare dai nomi: utili per comunicare, ma irreali in sostanza.
Facciamo soltanto sorrisi e smorfie in uno specchio e poi crediamo che ci sia effettivamente qualcuno là dentro.
Cos’è un pensiero? Vibrazione, movimento neuronale…? NO! Usiamo solo un altro pensiero per scoprire cos’è il pensiero?… è il gatto che si morde la coda. Siamo fuori strada.
La verità è che non osiamo dire:’’Non so ’’.
E’ proprio questa la nostra unica vera origine, l’inizio e la fine di tutto.
Prima di nascere, di pensare quindi, cos’ero e cosa sono?
E’ nato solo un pensiero che ha creato infiniti universi. Un pensiero che cerchiamo invano di dimenticare in tutti i modi. Ma se non esiste che bisogno c’è di dimenticarlo?
Anche la morte perde significato, quando si vede che muore solo…un pensiero, un concetto.
Siamo…l’inconcepibile, l’incommensurabile.
La mente si aggrappa alla parola, si esalta, ma in realtà ne ha paura perché questo significa la sua fine.
Possiamo anche vedere la cosa sotto un altro aspetto, il suo opposto. Facciamo qualunque cosa per attaccarci ad un’identità e programmiamo attività future per mantenere e poter dare continuità a questo stato fittizio d’essere vivi. Immaginiamo di conservare un’idea, la vestiamo come una bambola, poi la crediamo vera.
In realtà non c’è né continuità, né senso di essere, solo rintocchi a vuoto di un immaginario orologio a cui è sfuggito il tempo.
Allora? Essere o non essere? Vogliamo dimenticare o dare continuità?
Vogliamo entrambi: vogliamo l’individuo separato ed anche il naufragare nell’infinito e corriamo dall’uno all’altro, ma non troviamo pace. Come risolvere il dilemma?Non c’è che un’unica soluzione: vedere con convinzione che è solo un pensiero quello che nasce, la vera origine del mondo, ma io non sono nato e quindi non puo’ esserci né morte né continuità.
Se il pensiero non c’è e la coscienza è una convenzione – che si rivela falsa sotto i riflettori della discriminazione – allora tutto quello che parte da essa e che crea la dimensione, lo spazio ed il tempo, puo’ forse essere vero?
Sono cosciente solo se vi è il pensiero:‘’sono vivo’’.
Se il punto geometrico è fittizio, lo sarà anche il cerchio che parte da esso.
In realtà dunque non ci sono dimensioni, misure, ma solo convenzioni che fluttuano in un immaginario presente. Aumentiamo la velocità fino a quella della luce e… non succede piu’ niente, nemmeno un barlume di apparizioni che finora ci avevano distratto dalla realtà. E’ stupenda la vita, con le sue fantasmagorie, ma non prendiamola troppo sul serio.
Le attività continueranno, ma piu’ serene, piu’ spontanee, perdendo lo slancio dell’ansia, poiché il regista-attore principale è uscito silenziosamente dalla scena.