Dialoghi con U.G. Krishnamurti
Da “Mystique of enlightenment’’ (mistica dell’illuminazione)
U.G.: Non sentirai mai il gusto della morte, perché non c’è morte per te: non puoi sperimentare la tua propria morte. Sei nato forse? La vita e la morte non possono essere separate: non avrai alcuna possibilità di venire a conoscenza dell’istante in cui l’ una inizia e l’altra finisce. Puoi sperimentare la morte di un altro ma non la tua. La sola morte è la morte fisica; non c’è morte psicologica.
Perché hai tanta paura della morte? La struttura che ti permette di sperimentare non può concepire un avvenimento che non potrà sperimentare. Si aspetta anzi di presiedere alla propria dissoluzione, e quindi si domanda a cosa potrebbe assomigliare la morte – tenta di proiettare il sentimento di quello che potrebbe essere di non sentire niente. Ma per poter anticipare un’esperienza futura, la tua struttura ha bisogno di sapere, cioè di una esperienza passata simile che può richiamare alla mente per riferimento. Non puoi ricordare cosa provavi quando non esistevi prima di nascere, non puoi ricordare la tua nascita, e così non hai una base per proiettare la tua futura non-esistenza. Per tutto il tempo che eri consapevole di vivere, sapevi di esserci e quindi hai la sensazione dell’eternità. Per giustificare questo senso di eternità, la tua struttura comincia a convincersi che ci sarà una vita dopo la morte – il paradiso, la reincarnazione, la metempsicosi e cose del genere. Cosa pensi che si reincarni? Dov’è questa tua anima? Puoi gustarla, toccarla, mostrarmela? Cosa c’è all’interno di te che va al cielo? Che cosa? Dentro di te c’è solo paura. Che cosa ti impedisce di essere nello stato naturale? Non fai che allontanarti costantemente da te stesso. Vuoi essere felice ora e per sempre. Sei insoddisfatto dalle tue esperienze quotidiane e così ne desideri di nuove e diverse. Vuoi migliorarti, cambiarti. Cerchi qualcosa al di fuori per essere qualcosa di diverso da quello che sei ora. E’ proprio questo che ti porta via da te stesso. La società ti ha messo davanti l’ideale dell’uomo perfetto. In qualunque cultura tu sia nato, ti hanno imbevuto di dottrine e tradizioni che ti insegnano come comportarti. Ti hanno detto che mediante alcune pratiche potrai eventualmente ottenere uno stato raggiunto dai saggi, dai santi e salvatori dell’umanità. In tal modo cerchi di controllare la tua condotta, i tuoi pensieri per essere qualcuno di non naturale. Tutti noi viviamo in una “sfera del pensiero ‘’. I tuoi pensieri non appartengono a te, ma a tutti. Ci sono solo pensieri, ma tu crei un contro-pensiero, il pensatore, col quale leggi ogni pensiero. Il tuo sforzo di controllare la vita ha creato un movimento secondario di pensiero all’interno di te e che chiami “IO”. Questo movimento di pensiero all’interno è parallelo al movimento della vita, ma ne siamo isolati ed esso non potrà mai toccare la vita. Tu sei una creatura vivente, eppure passi tutta la vita all’interno di questo movimento parallelo ed isolato del pensiero. Ti tagli fuori dalla vita e questo non è naturale. Lo stato naturale non è uno “stato senza pensieri” – questo è una burla che dura da millenni fatta ai poveri Indù. Non sarai mai senza pensieri finché il corpo non sarà un cadavere. Pensare è necessario per sopravvivere. Ma in quello stato il pensiero smette di soffocarti e cade nel suo ritmo naturale. Non c’è più un “io “ che legge i pensieri credendo siano i suoi! Hai mai osservato questo movimento parallelo del pensiero? I libri di grammatica ti diranno che “io “ è il pronome della prima persona al singolare, il soggetto; ma non è questo che vuoi sapere. Puoi osservare quella cosa che chiami “io”? E’ molto difficile da afferrare. Guardalo adesso, sentilo, toccalo e dimmi. Come lo guardi? E cos’è quella cosa che sta guardando quello che tu chiami “io”? Questo è il nocciolo del problema: quello che sta guardando ciò che chiami “io” è…l’ “io”! Sta creando un’illusoria divisione di se stesso in soggetto ed oggetto e riesce a continuare grazie a questa divisione. Quello che gli interessa è continuare ad esistere. Finché vorrai capire questo “io” o cambiarlo in qualcosa di spirituale, santo magnifico, quell’ “io” continuerà. Se invece non gli farai niente di tutto questo, se ne andrà.
Come fai a capire questo? Per praticità ho fatto un’asserzione:” Quello che stai osservando non è differente da chi osserva.” Cosa fai con un’asserzione come questa? Che strumento hai a disposizione per capire un’asserzione così illogica, senza senso, irrazionale come questa? Cominci dunque a pensare. Ma con il pensiero non capirai mai. Stai traducendo quello che dico dal punto di vista di quello che già conosci, come traduci qualunque altra cosa, perché vuoi cavarne qualcosa. Quando smetti di fare questo, ciò che rimane è quello che sto descrivendo. L’assenza di quello che stai facendo, cioè lo sforzo di capire o di cambiare te stesso – è lo stato che descrivo.
C’è un aldilà? Non sei interessato alle faccende quotidiane e a ciò che ti circonda, allora hai inventato un aldilà o l’eterno o Dio la Verità, la Realtà, l’illuminazione o che so ancora e poi ti sei messo a cercarli. Può anche non esserci un aldilà. Non ne sai nulla in fondo; qualunque cosa tu sappia è perché te l’hanno raccontato o quello che ne sai già. In tal modo stai proiettando questa conoscenza; e qualunque conoscenza tu abbia sull’aldilà è esattamente quello che sperimenterai. La conoscenza crea l’esperienza e l’esperienza rafforza la conoscenza.
Quello che conosci non sarà mai l’aldilà. Qualunque cosa tu sperimenti non è l’aldilà. Se c’è un aldilà, questo movimento dell’ “io” deve essere assente. L’assenza di questo movimento è probabilmente l’aldilà, ma l’aldilà non potrà mai essere sperimentato da te; solo se l’ “io” non c’è, è possibile. Perché ti ostini a voler sperimentare qualcosa che non si può sperimentare?
Devi sempre riconoscere quello che hai davanti, altrimenti tu non ci sei. All’istante in cui “traduci” qualcosa, l’ ”io “ è presente. Osservi qualcosa e riconosci che è una borsetta, una borsetta rossa. Il pensiero, mentre traduce, interferisce con la sensazione. Perché interferisce il pensiero? E cosa puoi farci tu? Appena guardi qualcosa, quello che appare in te è la parola “borsetta” oppure “panchina” o ” l’uomo canuto seduto davanti a te”. Questo continua sempre e sempre, non fai che ripetere a te stesso tutto il tempo. E se non fai quello, ti preoccupi di qualcos’altro: ”Sarò in ritardo in ufficio”. Sia pensi a qualcosa che non ha alcun rapporto con il modo in cui funzionano i sensi in quel momento, sia osservi e racconti a te stesso: ”Questa è una borsetta rossa” e così in continuazione – è tutto quello che c’è.
La parola “borsetta” ti separa da ciò che stai guardando e questo crea un “io”, altrimenti non c’è alcuno spazio tra i due. Ogni volta che un pensiero nasce, tu nasci. Quando il pensiero sparisce, sparisci anche tu. Ma l’ “io” non lascia andare il pensiero e ciò che dà continuità a questo “io”, è il pensiero. In realtà non c’è nessun’entità permanente in te, nessuna totalità di pensieri ed esperienze. Pensi che ci sia qualcuno che pensa i tuoi pensieri, qualcuno che prova i tuoi sentimenti – ecco l’illusione. Posso dire che è un’illusione, ma tu non puoi dire altrettanto. Le emozioni sono più complesse, ma è lo stesso processo. Perché ti racconti che sei in collera o invidioso di qualcuno o che il sesso ti tormenta? Non parlo di soddisfare o non soddisfare. C’è una sensazione in te e poi affermi che sei depresso o infelice, gioioso, bramoso, invidioso. Quest’etichetta crea l’entità fittizia che sta traducendo la sensazione. Quello che nomini “io” non è altro che la parola “borsetta rossa” , “panchina”,” lampadina”, “arrabbiato”, “felice”, ecc. Stai mettendo le cellule cerebrali a dura prova in un’attività inutile e continua, tale da distruggere l’energia che è a disposizione. Quest’attività ti esaurisce. Questo modo di etichettare è necessario se devi comunicare con qualcuno o con te stesso. Tuttavia tu comunichi con te stesso tutto il tempo. Perché mai? La sola differenza tra te e la persona che parla da sola ad alta voce è che non parli a voce alta. Non appena cominci a parlare a voce alta, ecco che arriva lo psichiatra. Il fatto che sei in uno stato estatico o in un incredibile silenzio, significa che ne sei cosciente. Devi conoscere un oggetto per poterlo sperimentare. Questa conoscenza non è nulla di meraviglioso o di metafisico: “panchina”,” borsetta rossa” è la conoscenza che è stata introdotta in te da qualcun altro, che a sua volta l’ ha saputo da un altro. Non è la tua conoscenza. Puoi forse sperimentare una cosa tanto semplice come la panchina davanti a te? No, tu sperimenti solo la conoscenza che hai dell’oggetto. Una conoscenza che viene dall’esterno. Tu pensi i pensieri della società, provi i sentimenti della società e sperimenti le esperienze della società. Non esiste un’esperienza nuova. Dunque tutto quello che un uomo ha pensato o provato deve uscire dal tuo sistema. Tuttavia tu sei il prodotto di quella conoscenza – è tutto quello che sei. Cos’è il pensiero? Tu non lo sai affatto; tutto quello che sai è quello che ti hanno raccontato. Che cosa ne puoi fare? Controllarlo, plasmarlo, frenarlo? Stai cercando tutto il tempo di farne qualcosa, perché qualcuno ti ha detto che devi cambiare questo o quello, mantenere i pensieri buoni ed eliminare quelli cattivi. I pensieri sono pensieri; non sono né buoni né cattivi. Finché vorrai fare qualcosa con quel materiale, stai pensando. Volere e pensare non sono cose differenti. Voler capire significa che c’è un movimento di pensiero: stai aggiungendo slancio a quel movimento e gli dai continuità.
I sensi funzionano in modo innaturale in te perché li usi per ottenere qualcosa. Perché ottenere qualcosa? Soltanto perché vuoi dar continuità al tuo “io”. Tu proteggi quella continuità. Il pensiero è un meccanismo di protezione: protegge l’ “io” a spese di qualcosa o di qualcun altro. Qualunque cosa nasca dal pensiero è distruttiva: alla fine distruggerà te e la tua specie. E’ il meccanismo ripetitivo del pensiero che ti sfinisce. Allora che fare? – è tutto quello che puoi chiedere. Questa è l’unica domanda e qualunque risposta io o chiunque altro possa darti, aggiunge slancio a quel movimento di pensiero. Non puoi farci niente. Ha lo slancio di milioni di anni. Sei totalmente indifeso e non puoi essere cosciente di questa impotenza.
Se pratichi un sistema di controllo della mente, automaticamente l’ ”io” è presente ed attraverso questo esso può continuare. Hai mai meditato seriamente? Se mediti sul serio, finisci al manicomio. E non puoi neanche praticare la consapevolezza di ogni istante. Tu non puoi essere consapevole: tu e la consapevolezza non potete coesistere. Se tu potessi restare non fosse che un secondo, in uno stato di consapevolezza, una volta nella vita, la continuità sarebbe sradicata, l’illusione della struttura pensante , l’ “io crollerebbe e tutto cadrebbe nel proprio ritmo naturale. In quello stato non sai che cosa stai osservando – questa è consapevolezza. Se riconosci quello che osservi, ecco di nuovo che sperimenti quello che sai. Non so cosa sia che spinga una persona verso il proprio stato naturale e non un’altra. Forse è scritto nelle cellule. E’ senza causa. Non è un atto di volontà da parte tua, non puoi farlo accadere. Puoi sicuramente aver sfiducia in un uomo che ti racconta come ci è arrivato. Una cosa è sicura ed è che non può conoscere se stesso e non può comunicartelo. La funzionalità del corpo sarà diversa senza l’interferenza del pensiero eccetto quando è necessario comunicare con qualcuno. Come in gergo pugilistico si suole dire: “devi gettare la spugna”, devi essere totalmente impotente. Nessuno ti può aiutare e nemmeno tu lo puoi. Questo stato non ti interessa: tu sei solo interessato alla continuità. Vuoi continuare, forse ad un livello diverso e funzionare in altre dimensioni, ma devi pur continuare in qualche modo. Non lo prenderesti nemmeno con una pertica. Questo liquiderebbe quello che chiami “io” tutto quanto, il superiore, l’inferiore, l’anima, l’atman, il conscio ed il subconscio, tutto quanto. Arrivi ad un certo punto e dici: “Ho bisogno di tempo” ed ecco la sadhana (pratica religiosa) e poi dici anche “Domani capirò “. La struttura è nata dal tempo e funziona nel tempo, ma non finisce per mezzo del tempo. Se non capisci ora, non capirai domani. Cosa c’è da capire? Non puoi capire quello che sto dicendo. E’ un esercizio futile da parte tua, paragonare il mio modo di funzionare con il tuo. Non posso comunicarlo, non è necessario e tanto meno un dialogo.
Quando l’ “io” non c’è, quando la domanda non c’è, quello che rimane è la comprensione. Sei finito. Te ne vai. Non andrai più da nessuno che descriva il suo stato o a far domande sulla comprensione.
Quello che cerchi non esiste. Ti piacerebbe calpestare un suolo incantato con visioni beatifiche di una trasformazione di un ego inesistente, verso uno stato evocato da frasi che ti affascinano. Questo invece ti porta lontano dal tuo stato naturale – è un movimento che ti allontana da te stesso. Essere sè stesso richiede grande intelligenza. Tu sei “benedetto” da questa intelligenza: nessuno può dartela e nessuno te la può togliere. Colui che le permette di esprimersi è un uomo naturale.
Domanda: Questo stato lei lo chiama “calamità”?
U.G.: Vedi, la gente crede che la cosiddetta “illuminazione” o realizzazione o come vuoi chiamarla, (non mi piacciono quelle parole) sia qualcosa di estatico, che ti renda per sempre felice, uno stato di beatitudine tutto il tempo – ecco cosa s’immagina la gente. Quando però una cosa del genere capita a qualcuno, egli realizza che non c’è alcuna base per una simile cosa. Quindi dal punto di vista dell’uomo che si aspetta una felicità perenne, una beatitudine eterna o quello che vuoi di permanente, è una calamità. Perché egli prevede un certo avvenimento, mentre quello che gli succede non ha niente a che fare con esso. Non c’è alcuna relazione tra quello che immagina e la situazione che c’è. Quindi dal punto di vista dell’uomo che si aspetta qualcosa di permanente, è una calamità – è in quel senso che io uso quella parola. Ecco perché dico spesso che se io potessi darti solo una vaga idea di cosa si tratta, non lo toccheresti neanche con una pertica di 4 metri.
Fuggiresti da questo stato perché non è quello che vuoi. Quello che vuoi non esiste, lo vedi.
Allora la domanda seguente è: ”Allora perché tutti quei saggi parlano di “beatitudine perenne”, di “vita eterna” ecc. ecc. ? Non sono interessato a tutto questo. Ma l’immagine che hai di quello, non ha alcuna relazione con quello di cui sto parlando, lo stato naturale. Quindi la domanda se qualcuno è illuminato o meno, non m’interessa perché non esiste affatto l’illuminazione.