Attraversando il mistero della vita mi accorgo che il confine tra l’esistenza e la morte è sfumato, ciò che non esiste non vuol dire che non c’è, come ciò che esiste non vuol dire che c’è, sembra un’asserzione paradossale, tuttavia la realtà non è che una sovrapposizione di stadi, noi ne viviamo solo una sua parte e crediamo che la nostra visione sia completa, così produciamo deduzioni prevedibili, indubbie, sicure.
Proviamo ad immaginare due punti situati nello spazio – tempo ad una distanza di 800.000 anni luce, l’idea classica che ne abbiamo è l’immensità oceanica che li separa, ma proviamo ad applicare la teoria della relatività, immaginiamo di poter distorcere lo spazio-tempo, di curvarlo, di contrarlo, potremmo ridurre quell’infinita distanza a poche decine di millimetri, ed anche molto meno, sino a cancellarla. Sembra inverosimile, eppure è fisicamente possibile anche se non dagli esseri umani ma da entità fisiche. La prospettiva classica dello spazio ne viene sconvolta.
Se noi moltiplichiamo la fluttuazione della vita per l’incertezza della sua posizione che occupa nella storia dell’universo, otteniamo un processo d’indeterminazione che invalida le ragioni della nostra esistenza, anche se nel nostro macrocosmo tutto sembra essere soggetto ad un’apparente determinazione, al rigore delle leggi ed alle costanti di natura che regolano i flussi di energia.
Siamo stati dominati per secoli dal determinismo, dalla previsione quasi scontata di ciò che è il mondo, di ciò che è il suo costruttore immaginario, aprendo lo scenario ad un cosmo regolato solamente da una catena di cause ed effetti. Crediamo che non sia possibile che certi effetti non implicano alcuna causa, la meccanica del nostro universo ci appare tutta prevedibile come se non esistesse niente che non possa essere compreso attraverso una computazione classica. Eppure, accanto alla causalità si affianca la casualità, ciò che avviene per caso, rispetto a ciò che è prevedibile.
Quando analizziamo un sistema in cui non è possibile mettere in relazione le fasi iniziali con quelle finali, poiché gli eventi seguono percorsi non previsti, allora ci troviamo di fronte ad insiemi non integrabili. La teoria quantistica richiede una sorta di principio di causalità temporale inversa, in quanto l’osservazione effettuata oggi può in qualche modo determinare la realtà del passato remoto. Così scrive a questo proposito il fisico John Wheeler: “la fisica quantistica dimostra che ciò che l’osservare farà in futuro definisce ciò che accade nel passato, che può essere remotissimo e precedere anche la comparsa della vita”. Wheeler qui attribuisce alla mente (L’osservatore) un ruolo fondamentale… e collega l’esistenza della mente nelle ultime fasi dell’evoluzione cosmica alla creazione stessa dell’universo… John Wheeler ammette l’ipotesi: che la decisione dell’osservatore di determinare un mondo ibrido potrebbe così venir dopo che quel mondo stesso ha preso ad esistere! L’esatta natura della realtà, sostiene Wheeler, dipende dalla partecipazione di un osservatore consapevole. In questo modo è possibile far risalire alla mente la responsabilità della creazione retroattiva della realtà”.
John Wheeler in Paul Davies: Dio e la nuova Fisica Oscar – Saggi Mondadori pag. 63 – 157
Nel nostro universo, al contrario di quanto si possa pensare, l’incertezza sembra predominare sulla certezza, noi non possiamo stabilire la posizione della nostra vita nella scala temporale, in ogni modo esistono diverse dimensioni temporali, noi ne attraversiamo solo una parte. Il determinismo non è che un aspetto marginale della realtà, mentre regnano incontrastate le fluttuazioni virtuali, proprio li si biforcano le verità. Ogni verità è vera all’interno del proprio sistema di riferimento, altrove decade inevitabilmente. Tutto ciò che ci attraversa è l’indeterminazione.
“La teoria dei quanti prende atto di questa indeterminazione: la sua conseguenza diretta è l’imprevedibilità… Il fattore quantistico, però, rompe la catena delle cause: e fa si che si diano effetti prive di cause”.
Paul Davies: Dio e la nuova Fisica – Oscar Saggi Mondadori pag. 145
Quale luogo stiamo attraversando? Dove sono finiti i nostri morti, forse sia noi che loro non siamo mai nati, o nati e morti; come il paradosso del gatto di Schròdinger che è vivo/morto. Se si sposta il criterio dell’osservazione, tutto cambia di prospettiva, potremmo essere o non esserci, forse viviamo in stati ibridi sovrapposti, ma ne percepiamo solo uno che definiamo reale. C’è consentito di osservare la realtà da un solo angolo di visuale. E’ come se esistessimo solo quando qualcuno ci osserva, mentre scompariamo dalla vita quando quel qualcuno di cui non sappiamo niente della sua esistenza volge lo sguardo altrove. La nostra natura nebulosa e vaga acquista tonalità dense di colore, invece siamo meno consistenti del vuoto.
Paul Davies afferma: “…che secondo Bohr l’indistinto e nebuloso mondo dell’atomo prende corpo nella realtà concreta solo quando lo si osserva, in assenza dell’osservatore, l’atomo è un fantasma: ma si materializza solo quando lo si cerca”. Paul Davies op. cit. pag. 147
Un tempo pensavamo che tutto fosse in qualche modo progettato, disegnato a priori, cioè che una qualsiasi organizzazione vivente non poteva che derivare da una complessità superiore. Oggi, invece, si abbracciano ipotesi del tutto contrarie: dalla disorganizzazione si va via via strutturando la complessità. È proprio lo squilibrio, la dissipazione dell’energia a offrire l’opportunità stessa dell’esistenza. L’universo è condannato alla morte poiché dissipa la sua energia spargendola verso l’infinito, ma è questa transizione che volge verso il suo decadimento ad offrirci l’opportunità di esistere. Il vuoto si espande e l’universo si affretta, finché un giorno tutte le stelle si spegneranno e sarà l’era della notte, l’epoca del buio eterno. Ma se osserviamo la realtà da un punto di vista quantistico le cose potrebbero apparirci ben diverse, ciò non vuol dire che non sia vera questa realtà, ma è solo una delle tante realtà, le realtà esistono insieme, siamo noi che ne viviamo soltanto una.
Se non ci fosse il tempo stringeremmo ogni cosa in un lampo d’infinito. La realtà nella sua essenza profonda non appartiene ai sistemi integrabili. Le realtà sono instabili, sono disseminate in un ibrido di esistenza ed inesistenza, tuttavia i loro frammenti di certezza tendono a decadere e dissiparsi nel vuoto. Così la vita nasconde nelle strutture più profonde l’indefinito, il virtuale, sembra strano che da questa fantasmatica apparenza possa essersi concepita l’esistenza.
Dalle fluttuazioni del vuoto l’intera vita evolve. Per comprendere quest’apparente paradosso voglio solo fare qualche accenno alle particelle virtuali. Il vuoto non è vuoto, pullula di particelle virtuali e altre stranezze di cui ne sappiamo ancora poco, si può considerare come un mare increspato, o come una turbolenza gassosa, semplicemente che noi non riusciamo a vedere le sue onde, le sue frange, crediamo che il vuoto sia assenza di tutto. Le sue particelle saltano fuori dal nulla e si annichiliscono in tempi brevissimi, tanto da non essere direttamente osservabili.
Dal nulla nasce qualcosa e nel nulla questo qualcosa si annienta. La durata dell’universo potrebbe essere quanto il tempo infinitesimale di una di queste fluttuazioni, mentre per noi sembra presentarsi eterno. Vi immaginate quanto possa essere il tempo della nostra vita, se il tempo dell’universo che ci sembra infinito, è solo il tempo di una fluttuazione, un bip infinitesimale?
Il concetto stesso di durata, di eternità tende a dissolversi.
I sensi ci ingannano nell’osservare la realtà, soltanto le strumentazioni più sofisticate ci hanno permesso di esaminare la sua struttura.
Quanto più breve è il tempo che attraversiamo durante la nostra esistenza, tanto più la vita sembra non essere mai stata agli occhi dell’universo.
E’ un’onda la vita!
Anche noi nasciamo dal nulla e nel nulla ci dissolviamo, come le particelle virtuali, eravamo polvere di stelle, e prima ancora quanti di energia, fluttuazioni di vuoto.
Il tempo della vita si curva e poi scompare e la vita si dissolve come se non fosse mai stata, l’unica sua presenza è la traccia della sua assenza che macchia gli eventi, però ritorna il suo flusso, mentre l’energia dell’universo si dissipa al suo cospetto, è proprio la lenta morte termica del cosmo a rinnovare la vita. Così, mentre l’universo volge verso la notte eterna, la vita guizza di qua e di là, ma non sarà perenne, è solo un fenomeno sporadico che avrà in un tempo remoto la sua fine. Quando l’energia dell’universo decadrà, non ci sarà più nessun’ opportunità per la vita.
Eppure, la realtà stessa è un’ombra, dipende da quale punto la osserviamo, esiste, non esiste…
Le anime sono presenze virtuali, hanno ragione sia i credenti, che gli atei, perché sono presenze e assenze, la loro vita come la nostra, dipende solo dal punto di vista in cui ci situiamo quando la supponiamo. La realtà è confusa!
“L’universo quindi dovrebbe trovarsi nello stato di limbo quantistico. Senza una mente quale quella predicata da Wigner che lo integri, l’universo non può che vagare in un’incerta condizione d’irrealtà: popolato di fantasmi, si sfrangia nella coesistenza ibrida di realtà alternative che si sovrappongono, nessuna delle quali è la realtà vera.” Paul Davies op. cit. pag. 164
Se il tempo è relativizzato, vuol dire che noi transitiamo soltanto l’ombra della realtà. La realtà è una metafora, ci troviamo dinanzi a diverse curve temporali che s’intersecano e divergono, come la geometria del caos che segue traiettorie indistinte. Supponete di rappresentare il tempo attraverso una curva, ciascun tempo avrà una sua curvatura, immaginate che dentro una di quelle curve ci sia la nostra vita, noi vediamo solo una parte di una delle traiettorie, un dito d’universo, questo frammento d’orizzonte è ciò che osserviamo, le altre dita o curve ci saranno precluse.
“…Un lanternino che proietta tutt’intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l’ombra nera, l’ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo purtroppo creder vera, fintanto ch’esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine a un soffio, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercè dell’Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione “.
Pirandello “Il fu Mattia Pascal” XIII – Il Lanternino
L’intervallo tra la nascita e la morte dell’uomo è talmente breve da considerarsi quasi nullo, se aggiungiamo a questo ciak o quasi nullità l’incertezza stessa della nostra posizione temporale, moltiplicandola per l’incertezza del nostro impulso vitale, e per il punto metaforico che occupiamo negli spazi dimensionali, possiamo concludere che la nostra presenza è virtuale. Forse bisognerebbe riscrivere la nostra storia.
La nostra storia prevede altri percorsi, ciò che la metafora della meccanica quantistica ha esportato nel mondo della cultura contemporanea, gli stati sovrapposti dell’esistenza, mentre la realtà che noi conosciamo è unidirezionale, segue solo un tragitto. Sembra un paradosso poter affermare che noi non siamo mai nati, che siamo vivi solo per il nostro sistema di riferimento e potremmo non esserci, se osservati da altri piani dimensionali, abitiamo una realtà nebulosa, tuttavia reale per noi forse senza alcuna origine, che fluttua fuori dal tempo, attraversa la curvatura del tempo e si annichilisce nel vuoto oltre l’eternità. Inoltre, non esiste un solo tempo ma tempi diversi, mentre noi non siamo neanche un punto, ma la sua metafora.
“Se due eventi, A e B, che avvengono in luoghi diversi, appaiono simultanei a un osservatore, un diverso osservatore vedrà invece che accade prima A e poi B; un altro ancora vedrà accadere prima B e poi A.
Quest’idea che l’ordine temporale di due eventi possa apparire differente a diversi osservatori, potrà sembrare alquanto paradossale.
Come può la pallottola colpire prima che il fucile spari?”
Paul Davies: op. cit. pag 174
Cosa è un bip per noi, è proprio niente, e noi rispetto al tempo cosmico siamo infinitamente meno di un bip, ma l’aspetto più paradossale è che la fluttuazione della nostra vita potrebbe essere stata solo un sogno all’interno di un bip cosmico.
Il palco che divide l’esistenza dalla non esistenza è molto instabile, ciò che non esiste non vuol dire che non c’è, come ciò che non c’è non vuol dire che non esiste. Attraverso questa separazione binaria dell’esistenza noi abbiamo costruito solo un criterio delle verità, sgretolando la conoscenza in tante briciole di menzogne.
Cosa c’è oltre l’eternità?
“Nel tempo reale, l’universo inizia e finisce in corrispondenza di una singolarità che costituiscono un confine dello spazio – tempo e in presenza delle quali la validità delle leggi scientifiche viene meno. Nel tempo immaginario, invece, non ci sono né singolarità, né confini… L’idea per cui lo spazio e il tempo possono formare una superficie chiusa, ma priva di confini ha anche delle profonde implicazioni per quanto riguarda il ruolo di Dio nelle vicende dell’universo”. Stephen Hawking op. cit. pag. 139
Essere nati vuol significare superare la cresta dell’inesistenza, essere una fluttuazione dello spazio, come un’onda del mare che ci porta sulla riva, però non siamo mai giunti nella battigia, siamo rimasti solo sull’onda fluttuante, mentre sogniamo la terra promessa.
Abitiamo l’involucro del tempo e non sappiamo che stiamo solo giocando alla vita.
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Se ci sono due libri che mi hanno letteralmente stregato da adolescente, sono:
“Il fu Mattia Pascal” di Luigi Pirandello (di cui ho citato alcune frasi) e “La Hypnerotomachia di Poliphilo (amante di Polia) o pugna d’amore in sogno, ove mostra che tutte le cose umane non sono altro che sogno” edito nel lontano 1499 dal primo editore Aldo Manuzio e che scoprii nientemeno che nella biblioteca paterna. L’autore si celava – pena castighi… ecclesiastici pericolosi – sotto il nome di Francesco Colonna.
Polifilo racconta come fu avvertito in sogno che egli dormiva e che dormendo si trovava in una valle chiusa da un recinto a forma di piramide sulla quale vi era un obelisco di meravigliosa altezza ch’egli guardò attentamente e con grande ammirazione.
Questo albero ai piedi del quale Polifilo trova riposo e il suo «sognare nel suo sogno» è il centro del mandala, l’omphalos della psyché, il luogo che permette all’animus di entrare in relazione con l’anima. Questa quercia rappresenta il re della foresta (v. C.G.Jung) ossia ciò che corrisponde alla sua luce o proto-Sé. L’albero della Vita o albero filosofico, crea rapporti con il centro del Paradiso terrestre, dal momento che l’IO cosciente vi è totalmente annientato.
spirale dorata
La descrizione che dà Polifilo della piramide indica l’impiego del numero d’oro nel suo essere eretto. Si può stabilire un rapporto ermetico fondamentale tra la sezione aurea e i tre principi alchemici. Si ricorda che la proporzione aurea stabilisce un rapporto tale che la più piccola parte di un insieme sta nello stesso rapporto con la più grande, come la più grande col tutto. Ecco la relazione:
Ossia: