traduzione del video Stephen Jourdain di Isabella di Soragna
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VIDEO DI STEPHEN JOURDAIN – PARTE 1
VIDEO DI STEPHEN JOURDAIN – PARTE 2
VIDEO DI STEPHEN JOURDAIN – PARTE 3
VIDEO DI STEPHEN JOURDAIN – PARTE 4
Acqua di un ruscello che scorre…
Stephen Jourdain: Vuoi sapere che riflessioni mi ispira tutto ciò? Te lo dirò. La prima riflessione è che l’acqua non dice mai fesserie. La seconda è che chiunque si trovi più o meno in buona salute, non può avere altra ambizione nella vita che quella di guardare scorrere l’acqua: l’Ultima Meta, l’Illuminazione, Dio, appaiono a paragone dell’acqua come qualcosa di essenzialmente frivolo e poco interessante.
Stephen Jourdain e Gilles Farcet
in un film di Malo Aguettant.
Stephen Jourdain: Da qualche anno – non voglio impiegare il termine di insegnamento che è un termine avvilito, pretenzioso e insopportabile – l’idea di trasmettere qualcosa, comincia a farsi strada in me. La mia passione, direi quasi il mio mestiere è quello di testimoniare con il linguaggio umano più semplice, questa realtà; il che è terribilmente difficile, perché in fondo a noi c’è un’evidenza così trasparente a se stessa che rappresenta tutti i valori che potranno sbocciare nel mondo, parlo qui della radice di tutti i valori e chiunque ha questa cosa in sé, è in certo qual modo, il guardiano della radice di tutti i valori che potranno manifestarsi nel mondo. È qualcosa di infinitamente prezioso, non esistono parole per spiegare quant’è preziosa. Quindi è la mia passione, quella di testimoniare questa radice, con dei termini che non siano vaghi o generali.
Acqua che scorre….
Questo cammino esiste, ma è lungo e difficile come per raggiungere la cima di quella montagna. Non c’è una ricetta-miracolo. Se ci fossero delle ricette-miracolo, esse avrebbero per noi sensibilità ed intelligenza, ma non si può pretendere che siano delle cose facili.
La mia infanzia è stata costellata da ciò che più tardi ho chiamato ”istanti privilegiati” o estasi, che ho vissuto come fatti completamente naturali. Ero bambino e cosa potevo farne di queste estasi da bambino? Ci giocavo. Non vedevo alcuna differenza di superiorità tra il fatto di giocare alle…estasi o quello di giocare a guardie e ladri. Era la stessa essenza. Più tardi, molto più tardi, a 30 o 35 anni, ho scoperto che non ero universale, mentre ero persuaso che tutti erano come me ed era per discrezione che le persone non ne parlavano. Ho scoperto che stranamente ciò mi rendeva diverso. Questo fatto mi ha stupito e preoccupato.
Gilles Farcet: L’hai raccontato più volte: è a 16 anni che ti è successo un fatto, un avvenimento o un non-avvenimento radicale.
S.J.:Sì, fu proprio così. Era un momento della mia vita in cui culminava questa adesione a me stesso ed alla mia umanità. Ero straordinariamente felice, avevo per me un grande amore che mi permetteva di amare i miei genitori, – non tanto i miei simili, che per me è un’astrazione, amo invece delle persone concrete – e ciò mi permetteva di amare la vita. Ero in posizione di non-rifiuto, d’amore per la vita e d’adesione a me stesso.
In un litigio, in un gioioso alterco con il “Cogito ergo sum” di Cartesio che mi aveva permesso di raggiungere una concentrazione assai profonda, in fondo a questa concentrazione che non era fatta in modo negativo, ma era invece qualcosa d’appassionato, che mi faceva scoprire a passo a passo il mio nutrimento, dopo ore interminabili di meditazione su questo…
G.F.:…”Penso dunque sono” ..è un po’ ciò che chiamano un “koan”, (nel buddismo zen) vero?
S.J.: Ho saputo più tardi che questo era assimilabile ad un koan. Dunque rimuginavo nella mia testa:”Penso dunque sono”. Questa piccola frase misteriosa sembrava possedere un segreto che toccava la mia identità più profonda. Ma di nuovo, facevo questo con passione, divertendomi moltissimo, cosa che mi ha permesso certamente di andare al di là del limite ragionevole, in questo sforzo di non badare alla ragione e buon senso e continuare invece questa ricerca appassionata – allorché era evidente che non avevo nessuna speranza di arrivarvi, dato che ero morto di stanchezza e che avevo l’impressione di trascinarmi intellettualmente su ginocchia sanguinanti – finché …forse dopo una, due ore…non so dopo quanto tempo, si è prodotto un avvenimento miracoloso che ha sconvolto la mia esistenza in una frazione di secondo. Un nuovo io, un principio nuovo si è rivelato alla velocità di un lampo e da allora questo principio è là e non è mai svanito. Una rivoluzione inimmaginabile. Non bisogna credere che questa rivoluzione abbia discreditato la vita ordinaria o la più semplice umanità. Al contrario, questa rivelazione straordinaria è avvenuta ”raso terra ” alle cose e ai sentimenti umani. Non è una stella che si drappeggia nella sua dignità d’astro e che disprezzi le povere cose terrestri. È al contrario la cosa terrestre che si sposa con se stessa, e da queste nozze con se stessa nasce qualcosa che merita il nome di Dio, se qualcosa potesse meritarlo.
Se mi avessero parlato di misticismo, prima di allora, sarei svenuto dalla paura. Ancor oggi questo nome ha per me una connotazione negativa. La mia famiglia lo considerava come pensiero di bassa lega, una profonda dimissione da ogni forma d’intelligenza. Invece questo era in realtà l’apogeo dell’intelligenza e della sensibilità e non il contrario. È una discriminazione suprema, ma che non genera – salvo che sia falsa o corrotta da qualcuno – nessuna forma di sdegno verso la vita umana. Anzi è la vita umana nella sua semplicità e concretezza che entra in collisione con se stessi. Non è solo lo spirito che entra in collisione con se stesso, ma è il tizio tutt’ intero, compreso ”l’io ” che con un termine un po’ peggiorativo si chiama ”empirico” – …dunque l’io empirico è lì e l’uomo sprofonda come un telescopio, interamente in se stesso; da questa collisione nasce la scintilla ed è ciò di cui parlo e che sono. Questo è il culmine, la brusca nascita dell’uomo e non il contrario.
Steve guida la macchina.
Cavalli che pascolano in un prato, uccelli che cantano…
Siamo seduti qui in un paese, no…sull’erba, in un luogo che non ha nome, che non ne ha mai avuto e non ne avrà mai, perché è anteriore alla geografia. Non c’è geografia. Non sono poi così sicuro che le nozioni d’universo non siano un’invenzione. Tutto questo mi fa pensare molto all’Eden…
Stephen passa l’aspirapolvere.
G.F.: Steve, ”risvegliato” a 16 anni, hai raggiunto l’Ultima Meta ad un’età precoce. Hai continuato a giocare a biliardo, a golf, a far la corte alle ragazze. Poi ti sei sposato, hai avuto 4 figli e hai oggi 4 nipotini. Hai esercitato una professione durante la più gran parte della tua vita, come agente immobiliare a Montparnasse, a Parigi. Che rapporto hai con la tua vita, con la tua propria storia, con la tua biografia?
S.J.: Degli ottimi rapporti. Erano già fraterni, ottimi durante la mia infanzia, prima che questo fatto mi piombasse addosso, ma sono ancora migliorati, più intimi e felici da quando questa ”cosa” mi è piombata addosso. Questa ”cosa” – contrariamente a quanto si pensi – non provoca un ”taglio” nella vita quotidiana, nell’umile vita terrena, ma al contrario le dà una posizione solida.
G.F.: Hai fatto una volta il paragone del romanzo e del lettore. Vedevi la tua vita come un romanzo di cui eri il lettore.
S.J.: Proprio così. Lo zampillare di questo risveglio, di questa ”cosa” (tra virgolette) nei rapporti con la mia vita, fu di risanarla, di espellere dalla mia vita tutto ciò che era negativo e che pretendeva di esistere in sé, fuori, indipendentemente da me stesso, fuori dalla mia mente. Ormai la mia vita, da quando ciò ha zampillato, la vivo ancor più pienamente nella mia umanità. Non vivo in superficie, ma completamente, vi sono impegnato, pur beneficiando di questo distacco magico che è quello del lettore in relazione al libro che sta leggendo. Non è perché sai che stai leggendo un libro, che sai stai leggendo una finzione, che il cuore non si mette a battere quando l’eroe in cui ci si identifica, si innamora perdutamente e riesce a conquistare la beneamata. Ci si casca in pieno, ma si sa che è un romanzo, una finzione.
G.F.: Fai a volte l’elogio della ”mediocrità” (tra virgolette), della piccola umanità. Dio, dici, è piccolissimo.
S.J.: Sì, è importante. C’è una concezione che per me è perversa e che presenta il Risveglio o Realizzazione, Dio o altro, quasi come una specie d’aristocrazia che guarda dall’alto con condiscendenza e disprezzo le cose terrestri senza importanza. Tutta l’importanza è invece nelle cose senza importanza. Effettivamente bisogna stare molto attenti a non schiacciare Dio per disattenzione, perché è piccolissimo. La culla, la dimensione del sacro è la dimensione più umile che esista. Il sacro è sacro, Dio ha la grandezza di Dio…se si usa questo linguaggio, ma non si può incontrare questa cosa smisurata che nelle piccolissime cose. Dunque Dio è raso terra.
G.F.: Poichè Dio è raso terra, è forse per questo che ti piace tanto far le pulizie in casa?
S.J.: Sì, è una delle ragioni. Mi piace passar l’aspirapolvere, come sai sono un uomo di casa abbastanza in gamba e le cose umili miserabili e triviali che un filosofo, spiritualista degno di questo nome, guarderebbe con condiscendenza, io non le guardo con condiscendenza. Ti assicuro che quando passo l’aspirapolvere, faccio corpo con me stesso, quando l’adopero.
G.F.: Cos’è in una parola questo ”risveglio o realizzazione”, di cui la tradizione ci ha tanto parlato?
S.J.: In 2 o 10 parole significa: nel bel mezzo della chiarezza di questo cosiddetto ”stato di veglia”, è svegliarsi di soprassalto, come se questo stato di veglia non fosse in realtà che sonno o sogno.
G.F.: Per avvicinarsi, per così dire, a questo risveglio, ci sono forse dei gesti interni da fare? Insisti molto sulla differenza tra coscienza e pensiero.
S.J.: Sì, ci sono dei comportamenti interni che favoriscono lo sbocciare di questa ”cosa”. Essenzialmente…vediamo, che parola si addice loro? È la coscienza. Si può considerare che questo stato di coscienza abituale che si suole chiamare ”essere svegli” è una sincope della facoltà di coscienza. Crediamo di essere svegli, quando in realtà questo stato di veglia è paragonabile ad un raggio di luna in confronto al sole di mezzogiorno. Allora questo è ”coscienza”. La natura dei comportamenti che permettono di avvicinarsi a quest’incendio è l’uso costante e testardo della facoltà di coscienza. Allora si arriva alla domanda: – Che cos’è la facoltà di coscienza e come distinguerla dall’invadente facoltà del pensiero?-
È vero che è una grande domanda. Allora si può dire rapidamente su questo argomento: la proprietà della coscienza pensante è una conoscenza a distanza che comprende molto lontano da sé, all’esterno di se stessa un dato – che per essenza è un ”non-me” – e questo è un ”non-me” puro – mentre la conoscenza cosciente non ha distanza, è immediata, percepisce un dato che è all’interno e che è fondamentalmente me s t e s s o.
G.F.: Se si accetta ciò che hai appena detto, significa che hai un rapporto completamente diverso da tutto ciò che normalmente è la vita umana, per esempio, la tua morte, ti appare in modo diverso?
S.J.: La mia morte mi appare diversa, mi appare nella sua vera natura, come un pensiero che si sta schiudendo nel fondo di me stesso. Cosa resterebbe della mia morte o di quella degli altri o della morte in generale, se le togliessi questa carne, la materia di cui è fatta, cioè se le togliessi il pensiero. Non ne resterebbe nulla. La morte è u n p e n s i e r o. Ogni oggetto di paura che pretende essere situato fuori dalla mia coscienza, se lo guardo attentamente senza pregiudizi, allora devo ammettere che questo oggetto terrificante per me, è riducibile ad un puro pensiero: cioè è l’estensione del mio principio, è solo un po’ del mio vapore, cioè n i e n t e.
G. F.: La morte non esiste?
S.J.: La morte non esiste, ma questa deduzione è molto sospetta perché la si potrebbe vedere come base di una dottrina, ora in realtà non c’è né base né dottrina.
G.F.: Non c’è neppure nessuno per formulare una non-dottrina.
S.J.: Non c’è nessuno per formulare la non-dottrina, ma in fondo è già fondare una dottrina!
Suona il pianoforte…
G.F.: Proviamo a prendere un esempio concreto. Mi sveglio e mi sento vagamente depresso, oppure triste, niente funziona…questo stato mi sembra molto tangibile, solido. In quei momenti, come mi posso servire di ciò che hai detto or ora?
S.J.: È vero che i nostri stati d’animo, ciò che viviamo o crediamo di vivere internamente, gli stati d’animo soprattutto nefasti, si presentano come se avessero una realtà propria, che può essere opposta alla nostra realtà. Vale a dire sono infelice, o mi annoio, o mi faccio del cattivo sangue, oppure ho lo spirito in ebollizione e m’inchino a questo modo di essere interno, come se fosse un fatto, un fatto oggettivo. In realtà non c’è traccia d’oggettività. Tutto quello con cui scendo a patti è in realtà un po’ della mia stessa sostanza che ho coagulata e che ho messo davanti a me. Se sono un po’ perspicace e attento, potrò scoprire che ciò che ho piantato lì davanti a me, è solo un po’ della mia stessa presenza che fa schiuma e null’altro. E dunque sono solo in me stesso e credendo di negoziare con una cosa così gentile quanto una corazzata nemica o un tiro di mortaio – ed è proprio così che viviamo!- se osserviamo bene, la corazzata ed il tiro di mortaio, se osserviamo bene il NE-MI-CO, vediamo che questo nemico è riducibile solo a noi stessi. Non c’è mai stato un nemico! È un sogno.
G.F.: Metti dunque in discussione lo stesso stato di ”substrato oggettivo ”?
S.J.: Metto in discussione nella sua manifestazione più sottile e perversa la realtà oggettiva, la sedicente realtà oggettiva dei nostri stati d’animo, qualunque essi siano!!
Mi strappo interiormente i capelli, perché ineluttabilmente i miei sforzi per raggiungere me stesso, sono messi in fuga dal pensiero che mi trascina ineluttabilmente a fondo valle. Ciò è nefasto! Non c’è un atomo di verità in questa situazione. Questa situazione interiore è interamente irreale e non possiede che la realtà che io le inietto. Tuttavia è necessario che lo sappia, che le sto iniettando questa realtà. Ecco il trucco! Allo stesso modo, se si prende un avvenimento fasto, piacevole, il che è eccezionale, per esempio…ecco, immaginiamo in uno sforzo di meditazione, comincio a sentire l’avvicinarsi dell”’Avvenimento supremo, del Risveglio Ultimo”, allora credo ad una situazione fasta, come se fosse oggettiva, separata da me, esistente di per sè. Invece non è che un po’ del mio vapore, niente di più ed essa è fondamentalmente irreale.
G.F.: Dunque al contrario, più lascio passare questi pensieri come nuvole, meno inietto loro della realtà.
S.J.: Certo. Se li lasci stare invece di afferrarli, li lasci passare, allora in quei momenti rimetti in questione la nostra credenza fondamentale in una realtà oggettiva dei nostri stati d’animo, cioè rimetti un questione la realtà oggettiva della durata interiore. La durata interiore è una durata completamente fittizia, paragonabile a quella di un romanzo, dunque non c’è in realtà una successione, o uno sgranarsi di istanti, c’è solo un’ipotesi di tali cose… è puramente fittizio.
G.F.: In fondo non è ciò che si dice, nella loro essenza in ogni caso, nella maggior parte delle tradizioni, quando si parla di ”abbandonare” il lato ritualista…?
S.J.: Non posso risponderti, perché non conosco queste tradizioni, ma posso immaginarlo. Si può supporre che ogni tradizione ponga delle radici – nonostante le forme un po’ sconcertanti che hanno preso in seguito, qualunque sia la degenerazione che abbiano subìto – e che all’origine di queste tradizioni c’è una stessa scoperta fondamentale, cioè questa: – i nostri stati d’animo, fasti o nefasti che siano, non hanno alcuna realtà propria. In genere questo s’inserisce in una scoperta più vasta, fulminante, che brucia il nulla, il quale è costretto a ritornare nel proprio seno, ad …annullarsi! È la scoperta più generale che la nostra credenza – che non riusciamo a sradicare – nell’esistenza di una sostanza o substrato oggettivo, separata dal nostro spirito, è infondata. Non c’è né un substrato oggettivo, né una conoscenza oggettiva.
G.F.: La degenerazione di queste tradizioni non dipende dal fatto che queste tradizioni hanno fatto di queste cose essenziali che ci propongono, proprio un substrato oggettivo?
S.J.: Certo! Esatto. Il vizio è proprio qui. Questa degenerazione, questo degrado sembra quasi ineluttabile, poiché questi dialoghi così pertinenti, le cose di cui stiamo discutendo così bene, tenderanno ad acquistare una sostanza o realtà propria. E quindi fin da quel momento bisognerà bocciarli senza pietà.
G.F.: Questo modo di vedere le cose, di situarsi in rapporto alla realtà, non finisce inevitabilmente in una forma d’umorismo nella vita quotidiana?
S.J.: Certo. Che cosa c’è di più divertente di distruggere degli idoli, di fare un atto sacrilego? Può essere buffo vedere un tipo per strada che legge il giornale andare a sbattere contro un lampione. Già questo è molto buffo, ma vedere Dio, l’Ultima Méta, le strutture ultime del Reale sgonfiarsi come palloncini!!… Ciò solletica veramente il nostro senso dell’umorismo.
Acqua di un ruscello che scorre…
Stephen Jourdain:….. l’acqua non dice mai fesserie. La seconda è che chiunque su questa terra si trovi più o meno in buona salute, non può avere altra ambizione nella vita che quella di guardare scorrere l’acqua: l’Ultima Meta, l’Illuminazione, Dio, appaiono a paragone dell’acqua come qualcosa di essenzialmente frivolo e poco interessante.
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…C’è un’enorme trota lì!…