di Isabella di Soragna
La maya, il sogno primordiale che ci mantiene nella sua bolla, crea la paura dell’ignoto intangibile, ma in realtà è una tigre di carta perché siamo l’Inconcepibile, è la nostra comune origine! Si cerca dunque di controllarlo in tutti i modi, con il sapere esoterico, l’alchimia, i sentieri e le discipline, le psicologie, la medicina, ma anche lo sport intenso, la competizione, le conoscenze e le ideologie di ogni genere. Tutto questo mantiene nell’irrealtà dell’ego-mente che diventa ancora più sottile e subdolo.
È dunque indispensabile vedere che la manifestazione, il corpo ed il mondo – costruiti dal sistema neuronale – sono solo il riflesso del vuoto o dello zero. In lingua araba e turca(fors’anche in altre) lo zero si dice “zifr” dunque la parola “cifra” proviene dallo…zero!! – il cerchio infinito, senza inizio né fine. Il sistema cognitivo, se investigato a fondo, anche per mezzo di microscopi elettronici, sparisce materialmente ed in definitiva si riduce anch’esso al…vuoto. Dunque l’uno, il due, il tre, ecc. provengono-riflettono lo zero, il vuoto di concetti, che non si può definire né nominare, ma pieno di ciò che è e che non possiamo conoscere senza creare un riflesso e quindi un “oggetto”. Gli oggetti sono dunque un semplice riflesso, quindi una cosa sola che “apparentemente” sembra sdoppiata. Il dio Pan(che significa abisso, profondo, “il Tutto”, l’istinto primordiale) era raffigurato mentre metteva una mano alzata sulla fronte e guardava lontano, il che indicava la “ri-flessione”= flettere dentro. (vedi “Saggio su Pan” di James Hillman) La cultura islamica si riferisce anche nell’architettura al senso del riflesso, dello specchio nelle case e nei monumenti religiosi. Si trova nelle fontane che zampillano nei patii, nelle costruzioni che evocano il senso del riflesso e dell’unità. Sono però ben consci che tutto parte da “zero”. Zero e Tutto sono in realtà identici. Sono i concetti ad esiliarli.
La società, la religione istituzionalizzata hanno condannato il caos, l’oscuro, ( il substrato confuso dell’ologramma, prima di ricevere il laser di luce) per cercare di controllare, strutturare le percezioni: quindi hanno demonizzato la parte sconosciuta, in ombra, sopprimendola e nominandola Male, Diavolo, stregoneria ecc. mentre sono loro i veri maghi neri, poiché ogni stregoneria fa solo parte del regno della mente individuale, che crea un falso oggetto esteriore, lo separa e dà luogo alla cupidigia, al bisogno di possedere l’ “altro”, chiudendoci quindi nella bolla, la nostra prigione dorata del definibile. La parola diavolo infatti proviene da divisione e dualità.
Si crea dunque un malinteso tra il cervello cosiddetto rettiliano o di sopravvivenza ancestrale e la corteccia cerebrale, che si riferisce al pensiero e gioca un ruolo centrale nei meccanismi mentali complicati come la memoria, la concentrazione, il pensiero, il linguaggio e la coscienza. Così il senso di sopravvivenza finisce per applicarsi a moti di pensieri o situazioni esistenziali che sembrano ricordare una situazione pericolosa per la sopravvivenza. Evitare di cadere in un burrone o di essere schiacciato da un camion diventa la stessa cosa che essere abbandonato da una persona amata o in seguito alla perdita di beni materiali. La risposta è la stessa e si colora di mille sfumature, creando nuovi circuiti nervosi che cementano la paura originale.
Gli psichiatri allora tentano di curare questi cosiddetti traumi, ma non andranno mai oltre la facciata superficiale, anche se parlano di archetipi e di complessi. Non andranno al cuore del problema, e cioè la paura viscerale (ossia “pan-ico”!) che viene dalla falsa separazione tra soggetto ed oggetto. Riunendo il Bene ed il Male come due facce di una stessa medaglia, il sistema nervoso che alimenta il pensiero lineare, deve eclissarsi e questo crea una grande resistenza: la paura di scomparire. Tuttavia chi scompare? Un fantasma, soltanto un’idea. Un fantasma che abbiamo costruito durante l’infanzia e l’inizio della comunicazione verbale e della lingua. Utili certo per designare le cose, ma non valide se fissano la realtà in oggetti separati e apparentemente esterni al nostro campo di coscienza. Paradossalmente la lingua dovrebbe riunire, comuni-care(nel senso di comunione), purtroppo divide. Un riflesso nello specchio che si prende per vero, quindi “altro da noi”, ci angoscia: un apparenza che fa le boccacce ci fa paura, se sorride ci rassicura, ma ci rende schiavi e sofferenti.
Basterebbe vedere che è solo un riflesso. Nel riflesso non ci sono due entità: solo una, che appare come doppia.
Che cos’è il pensiero? Una funzione fisiologica del corpo? Un’ impulso elettrico o una vibrazione di neuroni? Queste sono ancora definizioni, dunque pensieri. Secondo la medicina cinese il pensiero corrisponde alla funzione dell’elemento terra e della milza, legata all’archetipo della Madre. La madre mette al mondo… la dimensione o la misura(maya), ovvero la separazione, ma ci ricollega di nuovo per mezzo del ponte del linguaggio. In ogni caso il sistema nervoso, il cervello, produce quel che è capace di produrre, pensieri, memorie, associazioni, inventando il corpo ed il mondo, come in un ologramma. * La coscienza è un ologramma. Ecco di nuovo la maya o misura, inizio della favola. Il fisico James Jeans affermava che la manifestazione assomigliava sempre di più ad un gigantesco pensiero.
Appunto per questo ne consegue una ricerca costante del piacere per farci sentire fors’anche per un attimo questa non-dualità, (sempre presente, ma dimenticata) quando ne siamo immersi: purtroppo sono momenti evanescenti legati ad oggetti di pensiero. Paradossalmente si fugge da questa realtà non-duale attraverso proprio la ricerca del piacere temporaneo ed evanescente.
Il vuoto (di concetti) è la nostra vera natura, la nostra felicità totale, ma la si evita, riempiendo di futilità passeggere la nostra origine sempre presente, ma inqualificabile e che appare minacciosa al pacco di memorie fossilizzate, chiamate ego, mente, maya o miraggio. Appare minacciosa solo perché non possiamo oggettivare ciò che è INCONCEPIBILE. Preferiamo dunque una collanina di vetri colorati ad brillante unico.
Allo stesso modo l’Assoluto, il Nagual,** Quello o la Pura Coscienza dà un’apparenza di realtà a tutto ciò che tocca e così prendiamo per reale quello che è solo il suo riflesso. Noi siamo l’Assoluto, prima di qualunque pensiero, ma ci si identifica ad un sacchetto di concetti gratificandolo di veridicità assoluta, mentre non ha alcun valore. Ci identifichiamo ai pensieri e poi ci chiudiamo nella loro prigione.
È necessario investigare bene l’irrealtà delle nostre situazioni, rimanendo vigili per smascherare i trabocchetti mentali. Non basta dire “è un’illusione, io sono Quello” e poi continuare imperterriti a sguazzare negli abituali concetti radicati in noi. Per cancellare la “storia personale” inventata dalla mente o tonal,*** bisogna vivere totalmente la situazione sgradevole che si presenta e che mostra che vi è qualcosa che non è stato assimilato, entrarvi senza pensieri, come un tuffo nell’acqua profonda, ogni volta che l’emozione legata ad essa si presenta e senza nominarla. In questo modo, il pensiero viene annullato, vi è una riunificazione totale con quello che È, e si rende il turbamento al vuoto originale da cui proviene. Poco a poco la storia personale(apparentemente è necessario il tempo) perde forza, svanisce e rimane in evidenza la nostra vera natura originaria, sempre presente, ma velata dal labirinto concettuale.
Le terapie – inventate dalla mente – devono solo servire a de-strutturare il fardello, come un ago che aiuta a togliere la spina, poi si devono gettare entrambi. Non devono mantenere il controllo di un falso personaggio: altrimenti i complessi possono migliorare, ma il personaggio, vera sorgente dei mali, resta imperante ed intatto. Il fatto di servirsi di un tipo di terapia in cui la mente deve abdicare e che ci fa “rimanere” nel dispiacere presente(senza riferimenti al passato o solo come esca o detonatore), che ha preso radici nel sistema corpo-mente, è una maniera di stare nel puro senso di essere-qui-ora, allo stesso modo in cui viviamo i momenti di gioia. In tal modo la mente deve sparire, perché la dualità bene-male, senza definizioni possibili, si dilegua. Le identificazioni sono smantellate. Tuttavia definirsi di “essere nessuno” può essere ancora un personaggio camuffato da “niente”!
In ogni modo cercando di controllare la paura, questa, se non si scopre il suo gioco, sarà sempre vincente e ci controllerà sempre!
Questo, per quanto riguarda l’istinto di sopravvivenza, mal riposto dopo l’avvento della nascita e del sentimento di separazione che ne deriva. Questa situazione crea la paura della morte ogni volta che una vicenda può assomigliarvi: una partenza, un fallimento, una perdita. Esse fanno risorgere ad ogni momento il terrore dell’annullamento. Cercando di controllare l’Ignoto…che siamo, ci separiamo da noi stessi e diamo vita alla paura. La paura della perdita di… un’idea! Il movimento, il cambiamento, l’evoluzione e dunque lo spazio-tempo necessario a questo, è apparente, poiché presuppone un punto di partenza, una dimensione e dunque una misura, che come abbiamo visto è un miraggio(maya), fa parte del pensiero, della memoria, dei paragoni e di un’entità concettuale che non ha niente a che vedere con ciò che siamo da sempre, indefinibili. Tutto è, com’è ora, in quest’istante, non c’è nulla da togliere, salvo le definizioni: all’apparizione del linguaggio, il miraggio si presenta e ci costringe a colmare la frattura immaginaria con parole, parole, parole. Questo non significa che bisogna ammutolire e vivere nel silenzio apatico, solamente non dare importanza a questo turbinio di sogni e vederlo come un funzionamento che non ci riguarda più di tanto. Nessuna esperienza è possibile senza il pensiero e senza il movimento, anche se così appare. Si sperimenta quindi quello che si “sa” e non quello che vi è realmente, …inconoscibile. Senza lo spazio-tempo nessun oggetto, nessun suono è percepibile, ma la dimensione spazio-temporale è ancora una fabbricazione del sistema nervoso, che a sua volta si rivela un’entità concettuale ad un’investigazione più attenta. Dunque se lo spazio-tempo è un’ apparenza, una fabbricazione ipnotica, è evidente che gli oggetti, le esperienze e dunque tutta la manifestazione dovuta al nostro apparato sensoriale, è un’allucinazione collettiva. Ne consegue che se lo spazio-tempo si dimostra inesistente o solo apparente, anche l’avvicendarsi di nascita, maturità e morte, come qualunque movimento, non si manifestano “realmente”: tutto diventa statico senza inizio o fine. Tutto ciò terrorizza…il pensiero “io”, ci rimanda al fatto però che Quello che siamo veramente è l’occhio invisibile, siamo Pan che scruta e riflette… e crea tutte le fantasmagorie senza stancarsi. Non siamo la manifestazione, non abbiamo nessun contatto con essa, possiamo solo esser spettatori di un film a sorpresa.
E’ importante dunque mettere a nudo i pacchi di memorie che ci incollano alla relatività, al riflesso, osservando che sono definizioni che cercano di camuffare il vuoto, a mettere “ordine” in quello che la mente chiama “caos” da dove provengono. Facendo un attento esame ad esempio nella necessità di una madre che ci nutre, ma che spesso ci divora, si vede che è ancora un concetto quanto quello della sopravvivenza.
Questo senso di essere, questo “io sono”, la prima certezza di esistere, è tuttavia ancora un “sapere”, anche senza una vera definizione, poiché è ancora un “oggetto”. Per cercare di dare una continuità a questa illusione, a questa definizione del “sapere di essere cosciente”, ci si attacca ai pensieri e ci si fa travolgere dalla corrente creata dagli stessi(o a non pensare…il che è ancora un pensiero!). Essi danno la sensazione di un flusso continuo, di un’entità costante, ma è ancora una trappola creata dal sistema fascista neuronale che vuol comandare, controllare e sopravvivere. Il controllo, la sopravvivenza di che cosa? Di un’idea. Una rappresentazione mentale che chiamiamo corpo. Quello che chiamiamo”corpo” se sostenuto da un’idea che si adatta alle circostanze, sa bene come sopravvivere e lo fa senza preoccuparsene. La mente che prima invadeva ora può mostrarsi solo quando è necessario, non più come un tiranno. Il tiranno è solo un fantoccio ingombrante e inutile. Non si perde Niente e si guadagna Tutto.
Qualche accenno a quello che proiettiamo sul concetto di:
CAOS= luce oscura, indefinibile, irrazionale, notte, crepuscolo, ignoto, Nagual**, Assoluto. Anche il cervello rettiliano o primitivo di sopravvivenza. Origine e potenziale di vita non ancora manifestata.
e
ORDINE = luce del giorno, definibile, razionale, concetto, tonal**, riflesso (del Reale), mondo, corteccia cerebrale, madre, maya. Morte
* Un ologramma (v. riflessioni.it) è una fotografia tridimensionale prodotta con l’aiuto di un laser: per creare un ologramma l’oggetto da fotografare viene prima immerso nella luce di un raggio laser, poi un secondo raggio laser viene fatto rimbalzare sulla luce riflessa del primo e lo schema risultante dalla zona di interferenza dove i due raggi si incontrano viene impresso sulla pellicola fotografica. Quando la pellicola viene sviluppata risulta visibile solo un intrico di linee chiare e scure ma, illuminata da un altro raggio laser, ecco apparire il soggetto originale. La tridimensionalità di tali immagini non è l’unica caratteristica interessante degli ologrammi, difatti se l’ologramma di una rosa viene tagliato a metà e poi illuminato da un laser, si scoprirà che ciascuna metà contiene ancora l’intera immagine della rosa. Anche continuando a dividere le due metà, vedremo che ogni minuscolo frammento di pellicola conterrà sempre una versione più piccola, ma intatta, della stessa immagine. Diversamente dalle normali fotografie, ogni parte di un ologramma contiene tutte le informazioni possedute dall’ologramma integro. Questa caratteristica degli ologrammi ci fornisce una maniera totalmente nuova di comprendere i concetti di organizzazione e di ordine. Per quasi tutto il suo corso la scienza occidentale ha agito sotto il preconcetto che il modo migliore di capire un fenomeno fisico, che si trattasse di una rana o di un atomo, era quello di sezionarlo e di studiarne le varie parti. Gli ologrammi ci insegnano che alcuni fenomeni possono esulare da questo tipo di approccio.
** Nagual – nella tradizione degli indiani d’America corrisponde più o meno all’Assoluto. È anche paragonabile alla forza creatrice dell’Universo.