La versione Buddhista del Dio Indù Shiva è MAHAKALA il “Grande Nero”, uno degli 8 protettori del Dharma.
Il colore di Mahakala è il nero, poiché come tutti i colori vengono assorbiti dal nero, tutti i nomi e le forme si fondono in Mahakala, a testimoniare la sua natura assoluta.
La mannaia o Kartr (simboleggia la disgregazione della materia e di tutti i legami terreni e la loro trasformazione in una forza positiva)
È raffigurato molto massiccio, con la faccia corrucciata, l’occhio frontale e la corona a 5 teschi che sono la metafora della trasfigurazione dei cinque klesha (tormenti) nei cinque Dhyani Buddha.”
(commento tratto da colloquio con monaci tibetani).
Tankha regalo di un monaco di M. Pelerin (CH)
Tutti i tempi buddisti tibetani sono ornati da figure dall’aspetto corrucciato, feroce. Vi sono periodicamente danze lente al suono di tamburi dei monaci che le indossano. L’effetto quasi caricaturale, come le maschere di antichi popoli, si vede ancora oggi nel cantone svizzero dell’Appenzell che conserva riti pagani e in altre comunità del mondo intero. Tuttavia il significato antico e profondo, non è di cacciar via i demoni, di proteggere o di far paura ai bambini(e adulti non informati), ma di toccare profondamente l’inconscio collettivo e il suo lato ombra ben celato nelle pieghe della psiche.
Il vero significato tuttavia risiede nell’iniziazione particolare data da un lama (guru tibetano) ad una persona particolare che dovrà praticare con devozione, giornalmente, per un lungo periodo, visualizzando ogni dettaglio della figura dipinta (ogni dettaglio è simbolico), recitare un mantra e infine lasciar scivolare l’immagine nella Vacuità da cui tutto proviene. Quest’ultimo punto è molto importante: infatti si tratta di contattare le energie bloccate (da traumi o altro), di toccare la sensazione dimenticata, ma operante nel quotidiano a sua insaputa, e trasformarla in nuova energia luminosa.
In passato i monaci tibetani passavano le notti nei cimiteri a meditare sulle ossa umane avanzate…agli avvoltoi, per trasformare le loro paure: non tutti ci riuscivano e svenivano dalla paura o si sentivano perseguitati da…. entità malevole che tuttavia loro stessi avevano creato! Non certo per creare scenari diabolici per vantarsene.
In sostanza la miglior psicoterapia possibile. In occidente nessuna terapia ha potuto far arrivare a una simile trasformazione, anche se C.G. Jung ha contribuito notevolmente a cambiare le cose, e, tranne naturalmente molte eccezioni, non è stato molto capito o seguito. In questa fetta di mondo, legato più alla mente che alle sensazioni fondamentali – in realtà è solo la parte del cervello sinistro che detta legge – le stesse energie inconsce, negative, vengono incensate, magnificate in mille modi, come segno di superiorità, s’invocano demoni, non per trasformarne l’energia in luce, ma per controllare le paure non manifeste e profonde, i vecchi terrori – purché non vengano alla luce! – acquistando supremazia attorno a sé. In sostanza più c’è paura (separazione) più c’è bisogno di controllo e potere. In realtà questo aumenta la divisione e la paura. Un circolo vizioso. Il peggio avviene quando, in questo stato di cose, un individuo, convinto inconsapevolmente di dimenticare o cancellare le proprie paure, si unisce sia a un gruppo o a un guru che, pur indicandogli la via d’uscita, la non-dualità, la pura consapevolezza, la compassione universale, lo chiude in un’unità cosmica… intellettuale. Questo fa credere di essere arrivati al traguardo finale, alla felicità senza confini. A volte serve da scudo, a volte invece, è una nuova possibilità di controllo. È una tenda dorata messa su un cumulo di …dolori inespressi che ahimè non scompaiono, ma mutano e creano ulteriori problemi.
I tibetani scherzosamente li chiamano i “pappagalli del dharma”.
Il fondo dell’abisso, dell’oscuro, del male, rimane sempre lo stesso e si cementa, poiché tutto ciò che è conservato intellettualmente, rimane come (oggetto) “altro” è “fuori” e rimane sempre un nemico sia da combattere, sia a cui inchinarsi, vantandosi a volte di appartenere ad una élite di adoratori del diavolo (dia-bolus= che divide… nulla di più), di cui fecero parte noti filosofi.
Non a caso alcuni santi sono stati perseguitati da visioni demoniache e lo ricordano il quadro delle ‘Tentazioni di S. Antonio’ di J.Bosch con grande crudezza. L’equilibrio psichico si ottiene con l’accoglienza viscerale dei propri istinti soppressi: non si tratta di assecondare senza riflettere le pulsioni, ma di diventare coscienti di quel che avviene dentro di sé, anche se deriva da fattori lontani. È solo quando si bloccano, anche per l’innato bisogno di protezione, di calore e di essere accettati socialmente, che la violenza e la negatività si esprimono esternamente. Il risultato sembra differente, ma in realtà è il medesimo: stupri, inganni, violenze o mali incurabili la cui origine è sempre la stessa. Ma non è adorando un simbolo del male che si trova un vero equilibrio né si può davvero trascendere l’ipnosi che ci accomuna.
Quante volte facendo il tema di qualcuno che si lamentava di essere stato abbandonato o violentato, era chiaro che la faccenda non era ”fuori”, ma all’interno, nella psiche della persona che non riusciva ad affermarsi positivamente. Ricordo di una donna che era stata violentata alcune volte, un giorno decise di andare in fondo alla faccenda, studiò il proprio tema astrale e si rese conto che l’aggressione era la… sua, poiché non poteva esprimere la sua naturale forza! Da allora mai più le successe qualcosa di simile. Un altro caso quello di una bambina che, appena ne combinava qualcuna, per non essere sgridata, diceva alla mamma:- Non sono stata io, ma il diavoletto!- Si scoprì appunto che ‘’il diavoletto” era quello che lei non poteva esprimere, data la sua educazione troppo rigida. Questo le aveva procurato negli anni, infiniti problemi relazionali senza apparenti via d’uscita.
Poi si mise a recitare con convinzione e fervore le parole di Ho’oponopono, riguardo al “diavoletto”: – Grazie, mi dispiace, perdonami, ti amo -. In questo modo poté riunire in sé il suo potenziale vero, spontaneo e autentico.
Si ripetono sempre i nostri vecchi schemi, siamo fatti di memorie e per cancellarne il fondo doloroso, si tratta solo di integrarlo, ringraziando “l’ombra’’ che ci ha permesso di vederlo.
Tutto questo si riassume con poche considerazioni:
- Le separazioni convenzionali non devono essere un ostacolo al ritrovamento del nostro vero essere senza limiti.
- Ricercare, esaminare, le nostre vere angosce, proiettate o incanalate in sistemi che ci fanno sentire potenti, ma in realtà sono solo farse dettate dalla paura viscerale di sopravvivenza o simile.
- Spesso si tratta di momenti “ingranditi” e ripetuti nella vita dovuti a un problema durante la nascita o la gestazione. Non sempre questo è possibile, ma se si riesce a definire la sensazione primitiva, come un blocco, un senso di prigionia senza scampo, o un bisogno di battersi, o uno sconvolgimento terrestre, ciò dimostra che è una fase del parto che nell’”apparente-spazio-tempo” si protrae all’infinito finché non è smascherata e poi accolta la sensazione.
In questo teatro magico ogni cosa è al suo posto, si tratta di osservare con assoluta chiarezza i comportamenti degli attori – che in realtà siamo solo noi – sciogliere in questo modo le identificazioni ipnotiche e alla fine…come un palloncino trattenuto da un filo, lasciarlo scappare, perché si fonda con il cielo sempre presente che lo accoglie. E sorride.
Siamo QUELLO, non ce ne siamo mai separati.
Vajrayoghini
Anche per questa divinità (=energia essenziale), dove ogni gesto è un simbolo, ci vuole un’iniziazione: dopo la visualizzazione quotidiana, la recitazione di un mantra, la si lascia sparire nella vacuità da dove ha origine. Si tratta di trasformare collera, violenza e paura non accolte, in consapevolezza pura. Il risultato è una vera, profonda psicoterapia, non un vaneggiamento intellettuale.