Nel Neo-Advaita l’insegnamento riposa sul fatto che non c’è nulla da fare, poiché non esiste né ricercatore né cercato, quindi nessuna ricerca che valga, né domande. Sembra una contraddizione, visto il fiorire di satsang (riunione con il Sé) a non finire in occidente. Può nascondere la resistenza ad ingaggiarsi in una vera ricerca e soprattutto il tranello di una comprensione intellettuale e non vissuta. Significa deviazioni dal vero insegnamento e la formulazione di stereotipi di un’identità ancora identificata al ‘’suo’’ risveglio.
La via diretta: vi è solo il SÈ e la pratica consiste nel discernere il falso, perché il vero possa apparire. Tutto è già lì.
È una via di decostruzione, favorita dalla dissipazione del velo d’illusione per permettere alla realtà di apparire. La transizione tra la via tradizionale – la “via della formica”- e quella diretta, ovvero la ‘’via dell’uccello’’, fu insegnata dal maestro di Nisargadatta, Siddharameshwar Maharaj.
Importante è anche saper discernere il contesto sociale e culturale delle popolazioni in cui si manifesta questo insegnamento, per rivelarne il nucleo essenziale. Nei satsang spesso la via devozionale o del cuore viene negletta e ci si può perdere in un risveglio” personale” che è fuorviante. Si tratta anche di evitare di accogliere come generale, una verità relativa per uno studente in un dato momento.
In ogni modo la ‘’Verità” non è accessibile all’intelletto. L’’Advaita o Non-dualità non s’interessa minimamente al benessere personale, allo sviluppo personale o la psicologia: l’Advaita non è un conforto psico-spirituale poiché ciò è falso.
Troppe informazioni contrastanti che non mirano al vero centro del reale. Ogni sincero ricercatore dovrà discernere e verificare con lucidità.
L’insegnamento di base parte da una rimessa in questione e un cambio di sguardo su quello che si crede di essere, dal momento che non è né una tecnica di sviluppo personale o un aiuto a problemi quotidiani o psichici. Piuttosto è un invito a esplorare l’aspetto transitorio dei nostri tre stati di coscienza:
-Lo stato di veglia, di sonno profondo e del sogno ed inoltre lo stato di turiya e anche di turiyatita sul quale si iscrivono i primi quattro stati: è in effetti un cambio di punti di riferimento che deve prodursi. Il punto di riferimento è la Coscienza sulla quale sfilano i diversi stati e non più un personaggio che dura, che si sveglia, si addormenta e sogna. Sono solo stati o frequenze diverse della coscienza nel suo aspetto manifesto. Come l’acqua che da liquida diventa ghiaccio, vapore ecc. ma è sempre acqua.
La pratica di ’’né questo né quello’’ o Neti-Neti è molto incoraggiata da Nisargadatta. Si tratta di rimettere in discussione l’identità con il corpo, col soffio vitale, con la mente e la mente superiore o intuitiva e anche l’identità con lo stato di felicità (samadhi) che è ancora uno stato legato al credersi questo corpo. Sono ancora rivestimenti del… GIOIELLO. Resta allora il GIOIELLO senza attributi: non può essere descritto – altrimenti sarebbe ancora un oggetto. Non potendo mai descrivere, si arriva tuttavia alla comprensione che tutto quello che non sembra essere QUELLO… non può non essere… QUELLO (togliendo però le etichette).
La frase nota di Nisargadatta lo riassume: “Vedere che non sono nulla è saggezza, vedere che sono tutto è amore.”
Per molti scienziati l’arrivo della “Coscienza” avviene dopo una certa evoluzione della materia vivente. Nell’Advaita invece le domande intense permettono a chi si applica realmente, di constatare da sé che – come Coscienza – è anteriore a ogni sparizione e apparizione. In questo modo rimette in questione un “IO” autonomo con autorità e responsabilità proprie. Gli oggetti animati dalla coscienza sembrano averne una propria. Pensieri, sensazioni fisiche fanno sperimentare un dualismo relativo, dovuto al passaggio di forme e percezioni che si susseguono spontaneamente.
È importante non lottare contro l’identificazione, ma vederne la relatività. Si tratta di ripetere l’immersione nel Sé momentaneo o in modo duraturo.
Al contrario ogni tentativo di cambiamento, di miglioramento o repressione non farà che aumentare la fede in quest’ identità fallace. Solo l’ego potrà voler distruggere l’ego, per poter essere un ego… liberato dall’ego!! (poiché sembra partecipare a questo processo)
Riconoscendo quello che non sono, permette di abbandonarmi alla vera Volontà. La mente è sempre focalizzata su quanto è mutevole (istinto di preservazione del corpo-mente), ma è solo la Coscienza che potrà chiedere il “CHI sono “?
Quando il meccanismo d’identificazione cessa, l’unità è tutto e anche l’apparente separazione, che durerà solo nel suo aspetto funzionale e naturale.
Concetti e mezzi abili dell’Advaita
Concetto di attore e di libero arbitrio: il punto chiave è l’”assenza” di un attore non in modo intellettuale, ma un invito a vedere in modo sottile l’assenza di un vero attore che esiste solo per un’identificazione della coscienza a una parte della manifestazione, creando così un ”altro”. Si resta come testimone dell’avvicendarsi delle azioni, percezioni e sensazioni, per vedere sempre che sono ciò che non cambia mai e che ‘’assiste’’ alla sfilata dei cambiamenti. In realtà il testimone dovrà poi scomparire.
Vi è la proposta devozionale, di purificazione, di meditazione non-intenzionale e di presenza allo stato naturale. La maturazione avviene come una nebbia che si solleva e la mente trova i suoi limiti, in questo gioco di paradossi: non vi potrà mai esserci un risveglio ‘’personale’’! Tutto è Coscienza, tutto è GIÀ SVEGLIO.
In realtà è stato provato scientificamente che nessuna azione può essere considerata personale o volontaria. Alla fine nulla da scegliere, nulla da liberare. Solo assistere come coscienza-testimone al gioco della nostra manifestazione.
Senza cambiamenti, senza inizio, senza fine, senza nascita, senza morte: qui crollano tanti concetti su loro stessi, come la ricerca del bene temporale, lo scopo e il senso della vita. Bisogna liberarsi da qualunque concetto, fino all’ultimo, tutto allora è visto come l’espressione della Coscienza. Tutto quello che sembrava dover essere raggiunto all’esterno, si rivela il riflesso spazio-temporale e passeggero di quel punto a-temporale che non conosce mancanze o il bisogno di interezza. ‘’Chi amare se non c’è che il Sé?’’ La felicità dell’assenza di desideri, fine della dualità soggetto-oggetto. Nella Realizzazione vera non ci sono individui separati, né mondo, nessuno scopo da raggiungere. All’inizio vi è un auto-imprigionamento, un velo denso, anche se apparente: sono gli aspetti della maya ovvero l’oscurità necessaria alla proiezione di un film, proiettato quindi sul Sé immutabile. Solo quando si riconosce davvero l’errore, l’illusione sparisce totalmente. (v. la famosa immagine della corda presa per un serpente, all’imbrunire – ma visto l’errore la paura scompare) La finzione continuerà, il sole sembrerà sorgere e muoversi nel cielo, ma la ‘’grazia’’ avrà tolto il velo, senza che nessuno potesse farlo. L’esperienza diretta soltanto non basterà, poiché la somma delle credenze potrà continuare a recitare il suo ruolo di oscuramento. Gli insegnamenti veri chiariranno i dubbi, spoglieranno la coscienza dalle sue false identificazioni ma non …per aggiungerne altre!
La Verità, è bene ricordarlo, non potrà mai essere saputa, ma solo additata, dato che non fa mai parte del ’’conosciuto’’. Anche il Sat-Chit-ananda o estasi – felicità, fa parte ancora del relativo e non dell’Assoluto incomunicabile.
La fede per Nisargadatta è un’intima convinzione per qualcosa che c’è già, la credenza è una sovrapposizione che limita la Realtà.
La vera rinuncia non è per i beni materiali, ma per le false conoscenze.
L’Advaita è solo un accompagnamento a una maturazione naturale, è necessaria la pratica, finché c’è la sensazione che vi sia qualcuno che agisca, ultimo ostacolo.
Confusioni probabili: confondere stati sublimi e valorizzanti di un “ego spirituale” con il vero risveglio, che è il levarsi del velo opaco dal nostro stato naturale, sempre disponibile e presente. Ogni esperienza, anche la più sublime è temporanea e irreale.
Il risveglio vero è l’arresto di ogni identificazione con un personaggio che si muove in un mondo separato da lui. Il solo vero ostacolo non è la ricerca, ma l’identificazione a un “cercatore o ego spirituale’’. Solo la Grazia e la Coscienza agiscono e sorge il paradosso che ogni progresso spirituale (nello spazio-tempo) è un’illusione: anche se sembra esserci un’evoluzione in cui ci si spoglierà di veli e illusioni, compreso quello di un progresso spirituale! Resterà infine ciò che mai potrà scomparire: QUELLO. Questo conferma che lo spazio-tempo è solo apparente, come Einstein e altri fisici hanno confermato. E senza un’ ‘’origine’’… che realtà potrà avere il mondo?
Qualità indispensabili per lo studente o discepolo: la discriminazione, il disinteresse e l’assenza di passione per qualunque altra cosa, se non la ricerca del Sé: ossia nessun oggetto mondano potrà mai dargli la felicità che cerca.
Come già detto la rinuncia è interiore, ma è importante verificare un distacco verso i possessi, i ruoli, le conoscenze o immagini personali. La meditazione profonda, la contemplazione, la fiducia nell’insegnamento, farà sorgere il guru interno. Ricentrare l’attenzione su questo unico punto con la devozione e fare ciò che si presenta e non ciò che ‘’io’’ voglio fare.
Si possono notare tre tappe come per un pasto:
l’ingestione, ossia l’ascolto, la digestione o integrazione dell’insegnamento e la metabolizzazione o la realizzazione intera. Il Sè non sa che farsene della mente, e dei suoi raggiri, ma chi non è ancora pronto, dovrà sottostare a queste tappe.
Questi ’’concetti’’ qui espressi hanno il solo compito di essere dei mezzi abili per spogliarsi del falso, ma dovranno essere abbandonati, come il ‘’testimone’’, per non ricreare una dualità e un’identificazione sottile, ma invadente. Si arriva quindi a verificare la non-causalità dell’universo percepibile, poiché esso è maya, senza inizio e senza fine ed è il suo velo che crea lo spazio-tempo.
L’importante è non solo vedere l’irrealtà del mondo, ma soprattutto l’irrealtà dell’IO!!
Il nulla dovrà essere ritrovato per riempirsi del tutto: due aspetti ancora concettuali che si fondono nell’UNICO reale.
Per ultimo: -Non vi è nulla da comprendere, perché rischiamo di compiacerci in questo e in acrobazie ancora mentali. Tutto quello che si è compreso non lo siamo, allora perché perdersi in tanti concetti? Non siamo quello che ‘’sappiamo’’, ma QUELLO soltanto. La devozione aiuterà.