Nel nostro ologramma di nascita tutto è già avvenuto, ma se vogliamo ‘saperlo’ dobbiamo inventare-imparare prima di tutto i nomi. Questi poi sono distribuiti in varie parti del mondo nelle varie lingue e diventano ‘oggetti’ che possono essere designati e riconosciuti. Se ad un neonato non si insegna nulla, emetterà suoni, indicherà col dito, ma avrà difficoltà a farsi capire o a ottenere ciò che desidera. Inoltre abbiamo bisogno dello spazio-tempo (apparente) per poterlo verificare di persona e impossibile nell’istante.
La ‘coscienza’ (o senso di essere) è anch’essa solo un nome creato per designare una sensazione comune a tutti gli ‘umani’?
Anche la ‘persona’ era una maschera , una comparsa nel teatro antico. Noi ci consideriamo da sempre una ’persona’- con un nome proprio- da quando ci è stato insegnato dai primi anni di vita, ma è fatta per recitare una messinscena che si arresta nel sonno – in cui un’altra appare sullo schermo – e poi definitivamente quando ritorniamo polvere, alla morte. Nessun timore per i concetti di ‘nulla e di vuoto’, poiché Quello che siamo davvero è oltre le parole e SEMPRE presente.
È l’origine inviolata eterna e inconoscibile.
La reazione di molti è :-Ah! ma allora, se è inconoscibile, non posso oggettivarlo e quindi non lo ‘saprò’ mai e ne deduco che non… esisto?- Si tratta invece solo della ‘persona ‘- maschera teatrale – che appare e poi scompare come in tutte le opere sulla scena del mondo.
Siamo quella? Ecco allora apparire due vocaboli terrificanti.
Il Nulla! Il Vuoto! Uh! che paura! ma sono solo concetti bloccanti che non esistono, solo paraventi della Realtà inconcepibile senza limiti o sembianti, il TUTTO da cui proveniamo e che costantemente ‘siamo, saremo, ORA, SEMPRE’, ma non appena le diamo un nome e una veste, la rendiamo piccola e la ‘personifichiamo concettualmente’: ecco il tranello che poi porta alla paura! E che cos’è in fondo la paura?
Fa parte delle cinque sensazioni primitive dell’uomo, la prima, in cui si avverte una frattura, una divisione e le impalcature mentali – anche ben salde – perdono valore e non si sa più a che cosa aggrapparsi. Il ‘non-sapere’ ci allarga la visione, il sapere che si radica in concetti limitanti, anche se utili alla comunicazione quotidiana, ci allontana dal REALE sempre presente e sottostante.
Se invece indaghiamo profondamente su tutto questo, come potrà poi esserci la paura? Certo, potremo averla per condizionamenti appresi, memorie, o come in eventi di malattie, lutti o catastrofi naturali ecc., ma sono soltanto ‘facciate che appaiono alla persona’ che ci hanno inculcato:-Sei nato, soffrirai e morirai.-
Allora ecco l’eterna domanda in sottofondo agli eventi della vita:- Che cosa MI succederà, a CHI succederà?
Ma poi indagando a fondo… siamo davvero quella ‘persona’ quella maschera provvisoria a cui hanno dato una vita apparente e fittizia a cui poi crediamo ciecamente come a una divinità e a cui ci aggrappiamo temendo che ci abbandoni da un momento all’altro o invece ci buttiamo a capofitto nel tumulto terrestre per …dimenticarlo?
Torniamo all’idea di ’coscienza’. Che cos’è realmente, dimenticando quanto abbiamo ormai assimilato negli anni.
È una semplice sensazione, che percepiamo (tranne nel sonno, in cui è presente, ma non è sperimentata e poi scompare nella morte). Questa sensazione basilare ci permette di percepire tramite i cinque sensi : le incolliamo la nostra etichetta, un nome, un ‘sapere’: -So che sono vivo.-
Se NON siamo coscienti ? Ritorniamo all’ignoto.
Eccoci di nuovo davanti allo…sconosciuto, al vuoto, al nulla che cerchiamo invano di addobbare con etichette, addentrandoci nelle azioni che ci permettano di sperimentare questo ‘senso di essere vivi’ e quindi di essere ‘qualcosa o qualcuno’. Ma non sono forse ancora cartellini, concetti, che invece di servirci per registrare, comunicare e sentire la vicinanza sensoriale di persone e altri elementi, diventano poi muretti divisori che ci dividono sempre di più dal ‘reale comune’ che siamo. In altre parole ci siamo ‘robotizzati’ prima del tempo e poi ora s’inventano robot in ogni campo.
Se invece ci addentriamo nel senso di apertura (per molti terrificante) che dà il nulla-tutto, le etichette, le usiamo certamente, ma immediatamente le mettiamo da parte come oggetti, solo utili al momento, senza più identificarci con niente in particolare: il film passa e lo lasciamo scorrere senza fermarlo.
E a che cosa ci porta naturalmente tutto questo? A ‘toccar con mano’ che la realtà – sempre presente – è al di qua della manifestazione sensoriale-intellettuale. Non sono le persone, gli oggetti, i paesaggi ad essere reali, o tutto quello che percepisce il nostro sistema cognitivo e… la coscienza che lo anima, ma quello che soggiace, invisibile, inconcepibile, ma totalmente creativo e dominante, senza il quale tutto sparirebbe all’istante.
Molti argomentano che se non lo possiamo concepire, non esiste. Invece se uno approfondisce con impegno e serietà, troverà senz’altro che l’irreale è proprio quello che la nostra ‘coscienza’ è, ci mostra e contiene, poiché oltretutto è stata inculcata – con nomi e argomenti – verbalmente ai primi anni di vita e non genuina.
Noi ci accontentiamo di etichette a cui diamo un valore immenso, dimenticando il tesoro… nascosto, per poter comunicare con altri simili che in realtà sono solo – come noi – comparse passeggere e irreali.
Inoltre è risaputo che – nonostante le organizzazioni super-scientifiche di anni, le ricerche quantistiche, i buchi neri ecc.- l’origine dell’universo che ci appare non è mai esistita e anche lo spazio-tempo che ne dà la possibilità di percezione, allora a che cosa dobbiamo far fiducia?
Non serve ritirarsi a meditare in una grotta pieni di timore o gettarsi nella droga (per oltrepassare – senza possibilità – il conosciuto), solo rendersi conto di fatto come stanno le cose e automaticamente vivremo la Realtà infinita che sempre siamo.
Se mi dicono che non esiste né un aereo, né un treno, né un’ auto o altro mezzo per recarmi in un luogo davvero molto distante, resto dove sono e mi accorgo che è lì che sto bene.
Vedo indagando e con assoluta certezza che quello che sono è ‘oltre la coscienza’, la userò nel vissuto quotidiano, ma non ne sarò più complice o schiavo.
Siamo avvinti e ingannati da maschere variopinte che prendiamo per vere, mentre ci creano un universo di comparse interessanti e varie, ma cerchiamo di vederlo come un film già girato e non preoccupiamoci più di conservarlo, abbellirlo o distruggerlo se non ci piace… sono solo ‘nostre’ elucubrazioni, totalmente irreali. È bene verificarlo con cura e paragonarlo al sogno notturno e a quello diurno….
Usiamo le maschere, belle interessanti, ma togliamole ogni tanto per vedere che cosa nascondono.
Vedremo se ancora ne saremo coinvolti!