Esistono gli “Illuminati” o siamo noi a crearli?
di Isabella di Soragna
[tratto dal libro di Isabella di Soragna, La tragicommedia del figlio di una donna sterile (inedito da Racconti vissuti della vita futura), Jubal 2006]
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E Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza – dicono i Sacri Testi.
La signorina IO notò, alzandosi quella mattina, che i suoi capelli diventavano ogni giorno più dorati, senza ossigenature né sciacqui alla camomilla. Si guardò meglio allo specchio e vide che anche la sua pelle aveva una freschezza, un tocco color pesca che non aveva mai notato nei giorni precedenti.
«Eppure invecchio ogni minuto. Il tempo asciuga, non ammorbidisce i lineamenti» pensò. Sbrigò le faccende domestiche meccanicamente, immersa in quell’unico pensiero. Ebbe la risposta solo parecchi giorni dopo, naturalmente quando non ci pensava più. Faceva molto caldo quel pomeriggio di piena estate, che emetteva solo rauchi respiri attraverso qualche raro sferragliare di tram. Anche le mosche in cucina ansavano ferme, indifferenti ai resti di cibo sul tavolo. IO scivolò in una pesante sonnolenza senza accorgersene. Iniziò a vedere tutto dall’alto del soffitto della sua camera. Si rannicchiò in una crepa del muro vicino al lampadario e si divertì a sintonizzarsi con i fiori della carta da parati, con la polvere sul vaso dei fiori; dialogò con la rosa più sbocciata e con la mosca più stanca, come vecchi compagni di scuola. Provò le loro sensazioni, i loro desideri semplici, istintivi, come già le era successo tempo prima, quando osservava le api. Il suono del telefono le fece male in tutto il corpo, e la fece svegliare di soprassalto. Sentì a lungo vibrare in lei un eco, una risonanza o qualcosa di simile. Non ha qui molta importanza se abbia risposto o no alla chiamata del telefono… ma ne ha invece molta ciò che da quel momento si mise in moto nel suo circuito neurologico. E tutto questo proveniva dallo stato più o meno giovane, avvizzito, opaco o trasparente delle guance umane. Ora vedeva bene che le famose gote riflettevano solo il suo stato interno. Capiva anche di vivere in un circo equestre: tante corde tese tra alcuni trespoli sotto il tendone, altrettanti saltimbanchi che continuamente saltano dall’uno all’altro, senza mai perdere il controllo, instancabilmente. Ecco che i clown ristabiliscono l’equilibrio dopo la tensione, provocando le risate. «Tutto ciò non fa una piega – considerava la ragazza tra sé e sé – Noi viviamo nel nostro circo, creato da funi invisibili di simpatie e di antipatie verso esseri simili e da tele intrecciate di situazioni prodotte da altrettanti campi di energia: esse giocano continuamente tra loro, in una perenne ricerca di armonia. L’equilibrio è fragile, è instabile. Più si pende da una parte e più lo si perde».
Nonostante queste immagini le traversassero la mente, con le membra pesanti per il sonno pomeridiano e gli occhi che le tremavano, si avviò al bagno. L’acqua fresca presa tra le mani le svegliò il viso ed i pensieri. Si guardò, com’era sua abitudine, nello specchio e salutò la propria immagine. Ma di chi era quella faccia davanti alla sua… assenza di testa (dato che non poteva vederla dal vero), che un pezzo di vetro trattato con nitrato d’argento le rimandava? Da quel pezzo di vetro dipendeva la sua fede nell’essere qual era. Mai avrebbe potuto vedere com’era veramente: quello che le stava davanti era solo un riflesso, non la realtà vera di lei, IO. E ciò che ella vedeva degli altri, del mondo, ne era solo un’immagine uguale e oltretutto contraria, dato che il suo occhio doveva rovesciarla per poterla percepire! Fece un gesto di rotazione con la mano. Il senso orario era diventato antiorario? La sinistra era la destra? La testa cominciò davvero a rovesciarsi, quasi a girarle. Gli altri o, meglio, l’Altro erano solo una sua idea, uno specchio, mille specchi, milioni di specchi che si moltiplicavano vertiginosi. Era lei ed era non-lei allo stesso momento, identico e contrario… queste riflessioni la accompagnarono fino alla sera. La luna d’oro tra le persiane chiuse la risvegliò ancora una volta e pareva ridesse col suo faccione bonario: «Non te la prendere – sembrava voler dire – anch’io sono un riflesso di fratello sole».
Quella notte dormì ancora profondamente e fece un sogno così pieno di dettagli da giurare che era vero. Sognò un angelo e un diavolo che si rispecchiavano nel suo cuore aperto. Parlavano e ridevano, seduti su una comoda nuvola fatta a divano. Commentavano la loro giornata ed i fatterelli degli umani, che mettevano tanta foga a prendere le difese dell’uno o dell’altro. L’angelo biondo, naturalmente vestito di bianco (non poteva distruggere le illusioni di tanti adepti vestendosi da punk, anche se era tentato di farlo per modernizzarsi un po’), numerava i suoi seguaci che facevano “solo” il bene: i devoti, gli eremiti e i santi. Intanto, il diavolo, un bel pezzo di Mefistofele in veste tradizionale, fuori moda, contava i suoi fans, in genere più intelligenti dei “buoni”, tra i sacerdoti di messe nere, i piccoli Faust da strapazzo e le fattucchiere del paese. Roba molto convenzionale e trita. L’angelo, però, cominciava ad innervosirsi, perché Belzebù voleva a tutti i costi annoverare nel suo computo i maghi bianchi ed i guaritori. «Eh! No! – disse colui che si rivelò come l’Arcangelo Michele – questa è roba mia… anche se sai benissimo che è una questione di equilibrio. Facciamo così: oggi a te, domani a me. Guarda che mi fido! Se non stai ai patti, ti ruberò qualche terrorista, o mafioso, facendolo pentire. Nessun umano capisce ancora, tranne forse il mio amico Francesco (il santo), che noi consideriamo tutte le anime in ugual modo: questa storia della dannazione che è stata messa in giro ci fa pubblicità, ma alla lunga ci ha stancati. Tutti quelli che hanno paura di te vengono da me, mentre gli altri che vogliono fare i furbi te li acchiappi tu. Poveretti, non capiscono che, finché fanno solo il bene e combattono il male, ci fanno fare questo lavoraccio da arbitri: uno a te, uno a me, uno nero, uno bianco, uno buono, uno cattivo… Non ti dico che lavoro burocratico, c’è da perdere la testa: l’ultima volta la cartoleria aveva esaurito le etichette, uno sfacelo! Lasciamo perdere…». «Ma non vedono – riprese Mefistofele, grattandosi la barbetta famosa – che siamo legati alla stessa corda e la usiamo come un elastico per farli avanzare, povero gregge cieco? Non riescono mai a vederla intera questa fune, perché si accorgerebbero che da una parte ci sei seduto tu, o qualche angelo simile, e dall’altra qualche diavoletto che fa le mie veci, quando sono occupato. Ma la corda è la stessa! Se capissero la contraddizione, sarebbero liberi dalla corda. Finché stanno aggrappati dalla tua parte e non vogliono vedermi, fanno in fondo il mio gioco: il mio motto è divide et impera. Tu forse riesci ad essere meno parziale e tendi a riunire le parti più di me. Mi infastidisci a volte: ogni volta che c’è qualche guerra o azione terrorista, dove guadagno terreno, mi rompi le uova nel paniere ed ecco che tutti si riuniscono e si aiutano fraternamente! Un giorno o l’altro, comunque, per la legge dell’equilibrio anche i “buoni” ricadranno tra le mie braccia. Se facessero lo sforzo di staccarsi un po’ dalla corda, vedrebbero che sono stati turlupinati da tutte le chiese del mondo, da millenni. Eppure hanno avuto Gesù, Budda e Maometto, e tutti gli altri che tentarono di rimettere le cose a posto… ma invano. Speravo di andare in pensione con loro, macché! Mi tocca sempre tornare a lavorare. Quanti maghi buoni che aiutano il prossimo e condannano i cattivi fanno mostra del loro potere (anche se con finta modestia!). Tuttavia, per il solo fatto che vogliono solo il bene, una faccia sola dell’intera medaglia, e che si credono importanti nel loro compito, come fossero idoli dello show biz, mi fanno venire l’acquolina in bocca, tanto li sento già arrostiti alle erbe sulla brace, nella mia cucina sempre pronta. Ah! Ah! Ti prometto che starò ai patti. Uno a me, uno a te… ed uno a me (hi!hi!); uno a me, uno a te, uno a me… (hi!hi!). Da vero diavolo-gentiluomo quale sono!». Un largo sogghigno sottolineava queste ultime frasi. L’angelo scuoteva le ali, anche se non si faceva più prendere in giro come l’altro sperava. «Lo so bene – proseguì Mefistofele – che il nostro Signore e padrone lassù vede tutti uguali, cioè liberi e perfetti. Quindi non sa che farsene di chi va sempre in chiesa e organizza balli di beneficenza. Lui vuole solo quello che sta al di là della nostra misera fune. Non la nomino quella “cosa”, perché il solo pensiero mi farebbe scomparire all’istante». San Michele invece, al solo pensiero emanato dal diavolo, divenne più lucente e si staccò un po’ dal divano per saltellare più in alto. Poi tornò giù, per ringraziare il “collega” (!) per il lavoro di stimolo che faceva nell’universo. «Senza di te che si farebbe? Saremmo tutti come la Bella addormentata nel bosco, in attesa del principe Azzurro».
«Il cavalier Essere e la dama Non-Essere formano la Corte del Tutto…» si udì un’anonima vocina leggera che aveva dell’angelico, ma anche del demoniaco. «Allora glielo diciamo a IO, il segreto, prima che lo sappia dal suo amico ufo?» propose San Michele. «Sì, sì, d’accordo» sospirò Mefistofele soprappensiero; in realtà non approvava per niente la decisione, ma si sentiva lusingato dalle lodi di San Michele. Che fosse diventato un po’ diavolo anche il collega che presidiava il lato opposto della corda? «Attenta signorina IO!» si affrettò a dire l’angelo, per evitare che l’altro cambiasse idea. «Ricordatelo quando ti sveglierai. Siamo solo creature concepite da te, come da ognuno di voi mortali, eppure esistiamo nel tuo mondo. Siete voi umani ad averci plasmato con la vostra mente schizofrenica. Quindi ci obbligate voi a recitare questi ruoli, ormai un po’ “demodé”!». Quando l’indomani IO si ritrovò di nuovo davanti allo specchio per pettinare i suoi capelli color grano, guardò bene il proprio viso. Quell’incarnato così fresco, questa nuova bellezza del suo sguardo, la luce dei suoi occhi non venivano certo dal passare degli anni: erano specchio della sua trasformazione interna. “La realtà è simile allo specchio” – “Dio ha creato l’uomo ed il mondo a sua immagine e somiglianza”… – Infatti il creato gli sta incollato addosso, come a noi del resto, fin dal risveglio la mattina: quando si dorme o è si sotto influsso di droghe dov’è il solito mondo? Il creato, appunto, è uno specchio, perché Dio possa riflettersi sempre, per non dimenticarsi mai di sé. Per poter guardare con occhi teneri le opere meravigliose, anche quelle che noi giudichiamo cattive o turpi, per poter continuare a stupirsi e a vedervi la sua immagine. O noi la nostra. […] A proposito di coincidenze, un giorno, parlando con uno dei pochi amici veri rimastole, dato il suo comportamento giudicato da tutti stravagante o troppo sottilmente rivoluzionario, si rammentò dell’esistenza di una strana setta, nata più di due secoli prima, chiamata gli “Illuminati di Baviera”. Si mormorava che fossero loro a muovere le pedine delle nazioni umane, che fossero in contatto con extraterrestri molto più evoluti e che perfino Hitler e Stalin avessero avuto a che fare con loro. Il fatto in sé non aveva commosso eccessivamente quella che d’ora in poi chiameremo Tara, nonostante le descrizioni dei poteri magici attribuiti a questi esseri fantascientifici e nonostante tutto il corteo emotivo e surreale che circonda in genere simili proiezioni mitologiche di “superpotere” – che si estendono da Diabolik al divo del pallone conteso dalle squadre di calcio a botte di milioni. Ciò che l’aveva punta nel vivo della sua curiosità era: «Esistevano veramente, oppure erano invenzione della psiche collettiva? Probabilmente tutt’e due» si era detta Tara, tra la veglia ed il sogno, dopo una notte agitata da mille stupidi pensieri. Agenti segreti appartenenti a tutte le religioni, mimetizzati in ogni parte del globo, tiravano questi fili invisibili come ragni tessitori, a volte col viso di grandi guru illuminati, a volte con la grinta del potere diabolico. Si nascondevano nella Casa Bianca, nella CIA, nel KGB, nelle grandi banche e multinazionali. Su questo si erano versati fiumi d’inchiostro, come sul mistero, tuttora irrisolto, di strani maestri tibetani disincarnati, che dettavano ad una signora inglese i loro profondi insegnamenti. Si era anche sentito dire che la donna aveva inventato questa storia solo per mostrare i suoi poteri. Tara, che ogni tanto mostrava coerenza volitiva nelle sue idee, si era messa seriamente alla ricerca – scientifico-storico-filosofica – di questa misteriosa setta, che cominciava ad inquietare parecchia gente in certi circoli esoterici. Prima vivevano tutti come vacche al pascolo, lei compresa, mentre ora ad alcuni cominciavano a spuntare le corna – quelle della conoscenza spirituale, come Mosè – sulla sommità della testa. E Tara, che amava comunicare – nel suo oroscopo di nascita aveva la luna nel segno dei gemelli – non solo storielle, cominciava a divertirsi delle sue scoperte e a sciogliere la lingua. Quello che scoprì, poco alla volta, fu che gli Illuminati continuavano a regnare indisturbati, perché facevano leva sui condizionamenti dei comuni mortali, sulle loro abitudini, sui loro programmi mentali, in poche parole. Questi schemi, secondo l’indagine di Tara, erano come tanti circuiti elettromagnetici, che ne attiravano altri simili. Tuttavia se un individuo, attraverso esperienze di coscienza che rompevano in qualche modo il solito girotondo, fosse riuscito creare altre, diverse trame, si sarebbe potuto togliere dal campo di risonanza e quindi sottrarre al potere di questi tiranni, invisibili e perciò ancor più potenti. Cosa restava da fare? Rompere le proprie abitudini, la prova della più assoluta libertà. Anzi, era importante essere all’ascolto di una voce interna, dura spesso, una voce che a volte suonava come una sirena che chiamava verso il largo dell’oceano e allo stesso tempo toglieva dolcemente all’uomo le ultime catene, le più difficili da identificare, perché invisibili.
L’amico di Tara, Tom, non poteva darsi pace di essere stato preso in giro per migliaia di anni (ma poi cosa sono: una manciata di attimi inventati dal cervello dell’uomo?) da un gruppetto di cospiratori che si tramandavano i loro trucchi da prestidigitatori. «Il trucco, comunque, c’è sempre in tutto! – lo stuzzicava Tara – nelle cose “alte” o “basse”. Basta trovarlo e si possono mescolare le montagne come un mazzo di carte. Il mago, in fondo, non è che un buon artigiano: ha studiato per conoscere tutte le regole del gioco della vita, le applica diligentemente e non lascia nulla al caso, per giocare con il potere». Si fermò pensierosa, poi aggiunse: «Ma quale potere? Un potere fatto di vapore, di pensieri evanescenti!». «Altro che trucchi! – protestava Tom – Si dice che tutti i sacrifici umani di massa che si sono succeduti dalla creazione fino a Hitler, le carestie, le guerre e le epidemie, siano solo sistemi studiati dagli Illuminati per arrogarsi quella forza vitale che serve loro per dominare il mondo. Insomma, lo stesso sistema che usavano i primi imperatori della Cina: quando uno di loro moriva, venivano ammazzati migliaia di schiavi, per poterlo nutrire post-mortem con il loro fluido vitale. Poi sostituirono gli schiavi con statue impregnate di fluidi e d’invocazioni. Anche nell’antico Egitto avveniva qualcosa di simile e così nelle civiltà più antiche in America. Solo molto più tardi furono sacrificati animali, ma il principio rimaneva lo stesso. In sostanza, si trattava di mantenere la forza di un popolo attraverso la sacralità del monarca, non al fine della grandezza personale – almeno in teoria! Poi, man mano che, di generazione in generazione, la mente si concentrava sul bozzolo umano limitato, ognuno tendeva a pensare solo a sé o a rimanere il più forte a qualunque costo. Ogni riferimento ad uno spirito sacro o collettivo era svanito». «Mors tua vita mea!» sospirò Tara, con il risultato di innervosire sempre di più il suo amico. «Non sono poi cambiati gli uomini da allora, ora usano metodi più sofisticati e meno visibili, ma il principio rimane. Anzi, a volte sono peggio degli animali, che si accoppano solo per sopravvivere, con molta naturalezza. È la smania di avere il superfluo che spinge ad arraffare il più possibile, rovinando, inquinando e maltrattando questa terra. Ma…» si bloccò, poiché Tom si era già dileguato. Finì la frase mentalmente: «Ciò che importa a me, sostanzialmente, è: esistevano poi veramente questi Illuminati?». Continuò a ripeterselo, come se un tarlo avesse nidificato nelle sue cellule nervose. «And yet doubt is a good servant, but a bad master…» (eppure il dubbio è un buon servitore, ma un cattivo maestro). Era difficile non farsi sopraffare dal dubbio, ma qui si trattava di vederci il più chiaro possibile. In fondo si trattava di nuovo del dilemma dello specchio. Guardando fuori dalla finestra vide un passero sbattervi contro: per il povero uccellino la sola realtà era la camera con il vaso di fiori rossi, non il vetro che lo separava dalla stanza. Il concetto di vetro non entrava nella sua coscienza avicola, tranne all’istante in cui si scontrava contro di esso. È la nostra memoria a costruire il condizionamento: ci ricordiamo il vetro o ogni altra cosa che abbiamo registrato come pericolosa ed allora facciamo attenzione – anche se non sempre. Ognuno vede ciò che sa, non ciò che è. Fin qui tutto bene. Il ricordo ci evita la frattura cranica. Ma per il resto è una palla al piede. Anche gli Illuminati, dunque, esistevano in quanto prodotto della nostra coscienza, cioè delle nostre paure accumulate, e – anche – come realtà esterna, dove queste paure potevano alfine prendere forma tangibile. Come è risaputo, il tutto è in relazione col tutto, nulla è separato, a sé stante, anche se crediamo di poterci nascondere nei nostri bozzoli, come struzzi che si credono invisibili se mettono la testa nella sabbia. Non è vero forse che il fisico quantico, foss’anche il più insignificante, influisce con la sua presenza, o meglio coscienza, sul risultato dell’esperimento intrapreso? Ad un indiano pellerossa difficilmente appare la Madonna che versa lacrime, o Shiva: è più probabile che veda Toro-Seduto su una nuvola. Quindi, l’immagine esiste sia dentro che fuori dal suo campo cosciente, senza divisioni: quello che è “fuori” corrisponde a quello che è “dentro”. Se non c’è dentro, non c’è nemmeno fuori.
Nonostante queste considerazioni, gli Illuminati continuavano a sorridere beatamente e sogghignavano, continuando a tirare indisturbati i fili della ragnatela cosmica, divertendosi come pazzi a far recitare ai loro piccoli manichini in carne ed ossa il ruolo da essi scelto. Tara decise di porre fine alla vicenda con un’ultima considerazione che, nonostante la chiarezza delle idee, era già imbevuta di granellini di sonno. Gli illuminati facevano leva sulle energie emotive degli uomini, il piacere, il dolore, il desiderio, la paura, sulle debolezze terrene in definitiva, per poter regnare. O forse sono gli umani a giocare con se stessi? Di colpo si ricordò di quanto, molto tempo prima, le aveva riferito l’amico, studioso del cervello umano. Qualcosa che l’aveva scossa profondamente, anche se erano parecchi anni che non sperimentava la volontà umana, attraverso esperienze ed osservazioni personali, come artefice del proprio destino. Tom le aveva spiegato che il cervello, o il sistema nervoso, aveva già preso la decisione qualche millesimo di secondo prima della presa di coscienza di agire in un dato modo. «Se decido di alzare il braccio, il cervello ha già messo in moto tutto prima che io mi sia resa conto di volerlo! Insomma non siamo padroni di un bel niente! Altro che controllo dell’ego». Una turlupinatura in più, eppure era così bello credere di poter plasmare a piacere la propria storiella, credendola vera, almeno in parte… «Che sonno! – sbadigliò… – A meno di rompere quel filo spinato e di prendere la strada delle grandi praterie, sconfiggere la Matrix o gli Illuminati… o, meglio, la Maya, il miraggio dell’esistenza che ci tiene avvinti!» mormorò prima di cadere nel sonno riparatore. Un altro sonno, uguale a quello della veglia.
Tratto dal libro: La tragicommedia del figlio di una donna sterile (Isabella di Soragna, inedito da Racconti vissuti della vita futura), Jubal 2006