di Isabella di Soragna
Non è una facezia quello che sto per raccontare: ti muovi, ti agiti, ti arrabatti da mattina a sera solo per convincerti, per dare un’apparenza di veridicità al senso di essere, all’idea che sei in vita. Un’idea che sembra innata, innocente, naturale, ma se uno prende una lente da investigatore, non lo è poi tanto. C’è un’intera centrale informatica al lavoro per produrre quest’esile e sfilacciata percezione, che in realtà è già un processo oggettivabile, dunque una definizione, un concetto. Come se non bastasse, per esserne ancora più sicuro e darvi un senso di continuità, inventi il tempo e lo spazio. Puoi sempre buttare la colpa sui tuoi educatori che te l’hanno man mano appreso, ma in fin dei conti anche loro fanno parte del tuo teatro stabile.
Il non sapere di essere è la tua e la mia vera dimora, la radice ultima, la più modesta ed economica in confronto a quella orgogliosa, bisognosa e piena di paure che chiamiamo coscienza. In effetti essa non ha bisogno di niente, soprattutto di essere o …di non essere, è completa e perfetta, tale e quale. Perfetta nel senso che non ha bisogno di miglioramenti, che è come è, senza possibili paragoni, non nel senso intellettuale del termine, che implica confronto estetico o morale con il perfettibile.
Ecco forse il senso della leggenda del Graal che può essere conquistato solo dal cavaliere puro: un essere che non sa di essere, che non crea oggettivazioni e separazioni, che sta prima della contaminazione o del peccato originale che è l’Io-sono. Siamo stati cacciati dal paradiso terrestre perché abbiamo “mangiato dall’albero della conoscenza”, fonte dell’ autocoscienza, l’inizio della dualità.
Appunto perché questo senso di essere è inventato dal pensiero e cristallizzato dal meccanismo della memoria, ed è falso quindi, proprio per questo devi continuamente assicurartene, momento dopo momento, finché esausto cadi nel sonno profondo e riparatore. Se fosse vero non te ne faresti un problema.
Quando sei sul punto di svegliarti al mattino sei ancora in un mondo che è sfumato, innocente. Poi il tuo video mette a fuoco l’obbiettivo del sistema neuronale e crea al momento del risveglio il mondo circostante. Sei sempre stato convinto che il mondo e la gente erano già lì pronti ad aspettarti, come una culla sempre accogliente ed è invece la tua macchina da presa che comincia ad agitarsi e a filmare convulsamente istante dopo istante quanto il tuo cervello produce o per lo meno è partecipe della produzione cinematografica. Le comparse che si avvicendano dalla nascita in poi, i genitori, i conoscenti, gli amici e quant’altri ti confermano di continuo la loro presenza con i loro nomi e concretizzano le ombre fuggevoli in entità che prendono corpo. Il lavaggio del cervello non te lo fanno loro in realtà, ma tu stesso. Infatti è il tuo programma di nascita che si perpetua per mezzo dei video ripetuti in un continuo ‘surplace’: anche se appaiono diversi, la loro ricetta di base è la stessa, con salse più o meno gustose. Le comparse che sembrano volerti condizionare i neuroni, sono schede tue che prendono corpo: puoi sempre prendertela con la pubblicità che ti obbliga a comprare un dopobarba o col guru che ti induce a seguirlo, sei solo tu nel panorama, con tanti burattini appesi ad un unico soffio vitale.
In seguito le attività quotidiane, cementate dalle repliche incessanti delle azioni, ti coinvolgono, facendoti dimenticare che tutto questo è sorto da un minuscolo punto di luce. L’ologramma creato dal tuo cervello ha preso proporzioni gigantesche, cosmiche, ma… continua la lettura su riflessioni.it