di Isabella di Soragna
Robert Adams è un saggio realizzato, poco conosciuto in Europa. D’altronde non ha mai fatto né pubblicità, né scritto libri, né organizzato seminari o conferenze, ora così in voga.
Nasce nel Bronx nel 1928. Figlio di un cattolico e di un’ebrea, sempre ribelle, fin da piccolo non sopportava la sofferenza nel mondo. I ricordi della sua prima infanzia ci parlano di una costante visione accanto al suo lettino, di un nano con la barba bianca che gli parlava in una lingua incomprensibile. Quando ebbe sette anni la visione sparì. Molti anni dopo, in seguito alla sua esperienza di “risveglio” dal sogno diurno, mentre cercava alcuni libri su insegnamenti di saggi indiani, ebbe uno shock vedendo la fotografia di Ramana Maharshi in un libro. Riconobbe nella foto il piccolo uomo che gli parlava quando era nel lettino da piccolo. Da adolescente sviluppò presto le siddhi(poteri soprannaturali: segno di progresso, ma non di realizzazione). Ripeteva il nome di Dio tre volte quando aveva un problema a scuola e otteneva dei buoni risultati senza studiare. Un giorno, prima di un esame di algebra, ripeté il nome di Dio tre volte, ma invece delle risposte, il fulmine della rivelazione ultima cadde su di lui, rivelandogli l’illusione della nascita e della morte e l’inconsistenza della manifestazione.
Si ritirò dal mondo, poi si unì al gruppo di Yogananda in California. Ne fu deluso e decise di partire per Tiruvannamalai per incontrare Ramana Maharshi. L’incontro fu come una scossa elettrica: si prosternò in una resa totale, mentre ciò che rimaneva del suo ego spariva per sempre.
Viaggiò molto in India e nel mondo intero, poi si sposò ed ebbe due figlie. Aiutò la moglie nel suo lavoro di sarta. Qualche studente cominciò ad avvicinarlo, ma dopo qualche anno si ammalò di Parkinson ed ebbe molta difficoltà a parlare. Non amava avere troppa gente intorno e preferiva avere pochi studenti, ma motivati. Il suo vero regno era il silenzio. Stava per ore seduto immobile. Morì nel 1997 dopo anni di sofferenza sopportati con serenità.
Uno studente a lui affezionato, lo psichiatra Ed Muzika raccolse i suoi dialoghi. Vi è un sito a lui dedicato:
Nei suoi dialoghi vi sono alcuni punti importanti che ripeteva spesso e che cerco qui di parafrasare e riassumere:
– Il “problema” appare quando le cose non vanno come ti aspetti. Da dove arriva il problema? Non è la situazione a crearlo, poiché la stessa cosa non affligge altre persone in quel modo. Deriva dunque dalla mente del singolo, cioè l’IO.
Che cos’è l’IO? Un composto di pensieri, memorie, associazioni, tra passato e presente, che vuole mantenersi e così teme il futuro, mentre i tre tempi esistono solo concettualmente (anche il presente). Questo IO che è solo un composto, un fantasma concettuale cui ci si identifica, dà la sensazione di essere un individuo separato e reagisce alle situazioni, in funzione della memoria. L’IO crede di poter risolvere i problemi e si dà da fare per timore che qualcosa di terribile possa succedere, basandosi sulla memoria emotiva dei fatti. Non ottenendo ciò che vuole si dispera e continua a ricreare le stesse situazioni già sperimentate fin dalla nascita e anche prima di essa, in una ronda senza fine. E`importante indagare a fondo sulla ripetizione, sotto diverse apparenze, delle stesse situazioni. Se per esempio ti hanno derubato o sei malato o in qualunque altra situazione, ciò avviene perché questo è già nel programma, anzi una replica Allora perché reagire? Non ci sono errori: tutto è già “avvenuto” nel film di nascita-morte.
Come gestire tutto ciò? Chiedi a CHI succede? Poi insegui l’Io giù in fondo fino alla sua sparizione. Aggrappati a quell’Io che ha il problema, vai alla sua sorgente ed esso sparisce come il problema, poiché è solo un concetto cristallizzato che si può sciogliere con la ricerca.
Le cose non sempre cambiano, ma è il tuo atteggiamento, la reazione che sparisce. Come uno schermo a cui non si attaccano le immagini del film o la foglia del loto che fa scivolar via l’acqua che vi cade sopra.
Quando si è ipnotizzati si crede con certezza che qualcosa è reale, ma non è così. Non esiste nemmeno, eppure ci si crede. Ma finché sei ipnotizzato ci credi. Siamo tutti ipnotizzati e crediamo in un mondo reale, che il mio corpo è reale, che la mia mente è reale, che i miei amici e familiari sono reali e reagiamo di conseguenza. Se analizziamo a fondo il valore del concetto vediamo che è una finzione, pratica per comunicare, ma non una realtà. Praticando il metodo d’inchiesta sopra descritto:- Chi subisce questo?- Io. – Che cos’è Io? Chi vuol sopravvivere? Chi ha paura di morire?- IO = pensiero = 0.- Inseguiamolo finché si dilegua. Il che dimostra che non è reale.
Fino all’età di tre anni circa, non ci identificavamo al nome e al corpo, parlavamo alla terza persona e guardando lo specchio indicavamo un amico. Poi ci hanno inculcato che eravamo quel corpicino e di colpo, ecco il senso di separazione e i terrori notturni e…diurni.
Ma … CHI o CHE COSA é nato? Questa è la domanda costante e senza risposta che si deve fare per uscire dalla ronda infernale. Chiedersi a “chi “ succede e inseguire quello che chiamiamo “Io” fino alla sparizione, poiché si rivela essere solo un nome fittizio.
“Io” sono depresso, “Io” sono arrabbiato, ecc. : è l’Io che reagisce, ma non Quello che sei e che non conosci, appunto perché non potrà MAI essere un oggetto di conoscenza. Inseguendo l’ Io non pensi più al problema, vai senza accorgertene, alla vera Sorgente e l’Io sparisce totalmente e così naturalmente il problema legato solo ad esso. Così per ogni situazione, per cancellare la memoria che vi si era incollata. Ogni volta che c’è un problema, un’emozione, chiediti a “Chi succede?” e poi insegui il fantasma, finché si dissolve assieme al problema. “ A chi saltano i nervi?” “A me.” Rimani in quell’Io e vai nel profondo finché rimani nel puro senso di essere o coscienza. Ripetendo questo ogni volta, trascendi il concetto dell’Io e rimani nella coscienza senza oggetto, che poi sarà a sua volta trascesa, dal momento che il senso di essere o presenza è intimamente legato al fisico. Anche se si parla di corpo sottile, astrale o causale, essi fanno sempre parte dell’individuo manifestato. Non sono la Realtà.
Dopo aver seriamente investigato sul “Chi sono?” si arriva alla conclusione che non si è … NULLA!! Allora cosa vuoi conoscere per essere “nulla”? Essere nulla è ancora una falsa definizione(di cui parlano molti “maestri neo-advaita”, ma senza averlo integrato nel vissuto), perché trasformi il niente in qualcosa. Se tenti di essere “nulla” significa che sei qualcosa no?
Essere qualcosa o essere niente sono ancora concetti, quindi falsi. Se qualcosa non esiste e il niente non esiste, allora? La risposta è il Silenzio Assoluto. La mente non capirà mai il silenzio perché descrivendolo, lo guasta. Senti profondamente che tutto è un miraggio costante.
Ma dire che tutto è illusione, “maya” è ancora un concetto da eliminare. Maya non esiste in realtà. Allora tutto quello che deriva da Maya non esiste nemmeno. Se non resta neanche il niente allora? Rimane il Silenzio. Lo stesso dicasi per la Realtà Ultima, l’Assoluto, il Divino: diventano solo porti rassicuranti, sono credenze. Provengono dalla mente. Sei tu a dare nomi a qualcosa che NON SAI, e non capisci per comunicare, ma anche per rassicurarti.
Cos’è la Realtà? Qualcosa che non cambia mai, ma potrebbe essere ancora un concetto al quale ti aggrappi.
Non vi è Realtà Assoluta. Prima si parlava di Dio, di Coscienza. Si sono solo cambiati i nomi. Così come il silenzio: se puoi esprimerlo, non è Quello.
Nulla a cui aggrapparti: se lasci dietro di te anche le mie parole, allora ci sei.
Se cerchi di sbarazzarti di un’emozione, di una sofferenza, devi vedere che non sono mai esistite. Come liberarti di qualcosa che non ha alcuna realtà? Passi anni cercando di migliorarti, quando non c’è “nulla” da migliorare. Come migliorare un niente? Si migliora solo l’ego che mantiene la sofferenza.
Così anche quando proviamo ad aiutare il prossimo. Cerchiamo sempre di immergerci nelle azioni che a volte dànno risultati. Qualcosa di terribile è successo e siamo riusciti a cambiare le cose, così almeno sembra temporaneamente. Tuttavia una persona, qualunque cosa debba sopportare nella vita, dovrà subirlo un momento o l’altro. Il solo vero sollievo è risvegliarsi. Di conseguenza, se sei “sveglio” vedrai le cose in modo diverso. In questo modo aiuterai veramente la persona.
Allora dove siamo? Esattamente dove siamo ora. Qui e in nessun luogo. I fisici la chiamano “non-località”.
Qualunque cosa tu faccia, in realtà non fai nulla. Sei sempre stato dove era necessario. Se rifletti a ciò sei totalmente libero. Se non sei da nessuna parte, se non ti aggrappi a nessuna credenza, a nessun punto di riferimento o concetto, vi è silenzio. Allora i pensieri si fermano e il silenzio sopraggiunge a tua insaputa. Il pensatore è totalmente distrutto. Rimangono solo quelli necessari, ma non vi è più alcuna identificazione.
Gate gate paragate parasamgate bodhi svaha = Aldilà dell’aldilà di ciò che esiste o non esiste, aldilà di ciò che appare o che non appare: SEI TOTALMENTE LIBERO.
Tutto è Sogno.
Se l’Io sparisce, anche l’illusione sparisce perché non è mai esistita! Entrando nel profondo della visione, tutto il materiale soppresso si manifesta, a volte con più forza, ma ora sai come gestirlo con la domanda:”Chi fa? Chi sente? Chi soffre?”
Quando guardo qualcosa o qualcuno, vedo in realtà solo le MIE percezioni, come in uno specchio. Se ti identifichi con un’immagine, con le esperienze che vivi, o i pensieri, dài forza all’immagine e soffri, ma se ti identifichi con il senso di essere puro, prima di ogni pensiero, ogni paura ti abbandona e sei libero. È l’Io ad avere i problemi, non Quello che sei e che non conoscerai mai.
Tutto sembra apparire, ma nulla succede realmente; sembra che ti realizzi, ma anche la Realizzazione non esiste, sono solo parole. Reale è solo il silenzio non definibile.
Rimanendo nell’“Io (sono)” le tendenze nascoste (vasanas), le memorie, si affievoliscono finché sparisci. Tutto è incollato al filo immaginario dell’Io. In realtà non c’è continuità.-
È stato provato dalle scienze moderne che le coordinate spazio-tempo sono relative, apparenti e non reali o assolute. Si impara a distinguerle a circa un anno di età, quando il sistema nervoso lo permette. Premesso questo e visto che gli oggetti del cosiddetto mondo esterno, (corpo, casa, monti, astri del cielo, ecc.) sono percepibili solo nello spazio e nella durata e sono interdipendenti, anzi sono tutt’uno – automaticamente essi saranno anch’essi illusori come lo spazio-tempo. L’irrealtà degli uni conferma l’irrealtà degli altri. Dato che è il sistema nervoso a costruire il mondo spazio-temporale, se questo si rivela anch’esso un concetto temporaneo e vulnerabile, tutto si rivela una bolla di sapone. Corpo, genitori, oceani, fiori, emozioni, guerre e torture sono solo modelli d’interferenze, interpretati dal sistema neuronale (quando funziona in modo ottimale) che può solo manifestarsi in modo sequenziale, successivo, mentre il mondo reale è simultaneo, multidimensionale e inafferrabile, tranne per brevi accenni, dal sistema nervoso.
Non si può sperimentare la molteplicità della manifestazione allo stesso tempo, (non si sperimenterebbe nulla), ma lo svolgersi del manifesto è possibile solo in una sequenza lineare (passato-presente-futuro), naturalmente orchestrata dal sistema nervoso e dai due emisferi cerebrali. A volte si nota la sincronicità degli avvenimenti nel mondo circostante o allargato alla terra-cosmo, ma è solo una traccia dell’unità della vacuità, che ti porterà poi all’annullamento di ogni concetto e a vivere sempre nel qui e ora (pur facendo progetti) – che è la sola realtà – anche se approssimativa, dato che è inesprimibile.
William James* afferma che le “cose” sono prodotti dell’attenzione selettiva della mente, la quale ignora il campo in cui proietta le immagini e le solidifica attraverso nomi o simboli, rendendole reali e indipendenti. Questo processo aggrava l’illusione che le “cose” siano separate o entità auto-esistenti, che giacciono lì in attesa di essere percepite.
Come già detto, si scopre che anche il semplice senso di essere è solo un pensiero, una supposizione. Quando si è nello stato di apertura, quando anche il senso di vacuità è visto come concettuale, (per alcuni vi sono momenti di smarrimento o “notte nera dell’anima”) si rimane ancora in uno stato, di beatitudine certo, ma ancora legato al sistema nervoso, dunque alla persona e all’ego. Il nulla è ancora un concetto che richiede un percipiente, un conoscitore o osservatore. Tutto ciò che si può pensare, non lo siamo. Anche lo spazio tra due pensieri – dal momento che lo puoi “oggettivare” – non è Quello, inconcepibile che sei. Non è quindi la Realizzazione. Questa potrà arrivare solo quando tutte le identificazioni saranno sciolte, non è un atto di volizione. Rimanendo il più possibile fissi nell’Io-sono o senso di essere senza oggetto, la nostra vera natura scioglierà anche questo concetto. Non c’è mai abbastanza distruzione del falso: l’azzeramento deve essere completo perché non possa più risorgere. È quello di cui parlano tutti mistici. Se rimane un solo mobile, la stanza non può dirsi vuota. Lo spazio della stanza e quello di ogni atomo dell’apparente individuo è lo stesso no? Pervade tutto ed è invisibile. Nessuna identificazione è più possibile. Totale libertà, anzi aldilà anche della libertà.
Questo non sarà più un’esperienza, ma si potrà verificare solo nel vissuto quotidiano. I pensieri continueranno senza ingombrarti, a seconda della loro utilità del momento, ma non saranno più legati al filo dell’IO.-
Che cos’eri otto giorni prima del tuo concepimento o mille anni fa? È quello che sei ora e sempre.
* William James: filosofo, scienziato e psicologo pragmatico del 20° secolo.